La prima è stata la “bestia”, costruita dallo spin doctor Luca Morisi per spingere la campagna elettorale permanente del leader della Lega, Matteo Salvini.

Questo metodo comunicativo, fatto di 35 esperti digitali che hanno seguito Salvini 24 ore su 24 per estrapolare dalla sua vita pubblica e privata post da 40 milioni di like totali e 3,8 milioni di follower su Facebook, ha sospinto la Lega al 34 per cento alle scorso europee.

Oggi l’evoluzione di quello stesso modo di stare sui social, adattato al profilo diverso di Giorgia Meloni, sta mostrando come l’architrave del consenso della destra si generi lontano dai media generalisti.

L’artefice, che cura le strategie social di Meloni dal 2018, si chiama Tommaso Longobardi e la sua chiave è stata quella di impostare le pagine social della leader di Fratelli d’Italia come una sorta di giornale all news. I post, infatti, seguono i fatti e le notizie del giorno e sovrappongono propaganda e informazione: ogni card (l’immagine condivisa sui social) contiene il titolo ripreso da un giornale d’area – i più gettonati sono Libero e il Giornale – e la foto o dell’autore della dichiarazione oppure dei protagonisti politici della notizia. Sotto, una frase a commento che fornisca la chiave di lettura di quella notizia per orientare i follower allo stato d’animo da manifestare: condivisione per la frase ad effetto di Meloni; indignazione per le affermazioni di un avversario politico; rabbia nel caso di statistiche considerate negative su temi polarizzanti come immigrazione o la pandemia. L’obiettivo di queste card è quello di totalizzare condivisioni e interazioni. I follower pubblicano sulle loro bacheche la card e il risultato è doppio: non solo quello di far girare prodotti comunicativi col brand del partito, ma anche quello di informare in modo orientato chi legge la card.

Meloni, a differenza di Salvini, ha scelto di quasi azzerare la sua sfera privata e familiare: a differenza del leghista che condivide colazioni, momenti d’affetto coi figli e con la fidanzata ed escursioni domenicali, lei si mostra quasi escludivamente in contesti politici.

A rilanciare questi contenuti, tuttavia, non sono solo i semplici militanti o gli elettori di Fratelli d’Italia. Intorno al partito, infatti, ruota una galassia di siti web che amplifica il messaggio. Uno di questi è La voce del patriota, giornale online vicino a FdI, che riporta praticamente solo notizie riguardanti Meloni e le dichiarazioni dei parlamentari di Fdi, sui cui trovano spazio i commenti di intellettuali d’area come Marco Gervasoni e studiosi legati ai gruppi parlamentari. Sui social, anche La voce del patriota sceglie un modello identico a quello di Meloni, con card che ne rilanciano il messaggio politico.

Michetti a Roma

Il candidato sindaco di Roma Enrico Michetti, formalmente non di Fratelli d’Italia ma considerato candidato d’area, ha scelto una chiave comunicativa molto simile. Anche lui, accanto alle foto di campagna elettorale e ai comizi, alterna card con titoli di giornale e commento molto simili a quelli di Meloni. Tutto il suo spazio comunicativo è racchiuso da Facebook, visto che il candidato non ha un sito internet dedicato alla campagna elettorale.

Tra le principali testatate online che riprendono e rilanciano notizie c’è Paese Roma - Corriere del popolo, diretto da Michelangelo Letizia, che è anche portavoce della lista Democrazia del popolo, che si presenta alle amministrative insieme al movimento Rinascimento di Vittorio Sgarbi, a sostegno di Michetti. «Anche io ho la percezione che la campagna elettorale, per ora, si sia giocata fuori dai canali mainstream. Però non è ancora entrata nel vivo, c’è tempo», spiega Letizia.

Il tempo, in realtà, è sempre meno: il calendario segna meno di un mese al voto del 3 e 4 ottobre e per ora la campagna elettorale del candidato di centrodestra ha avuto pochissima visibilità.

A mancare fino ad oggi, infatti, è stata tutta la liturgia tipica della destra romana nella gestione delle elezioni amministrative: nessuna grande manifestazione di apertura con comizio del candidato alla presenza dei tre leader del centrodestra, nessun giro dei municipi. Azzerate anche le cene elettorali, di cui non si ha notizia. Quasi non c’è traccia nemmeno della cartellonistica, mancano i manifesti sulle fiancate degli autobus e le vele che girano per strada. Addirittura, di Michetti non si conosce l’indirizzo (o l’esistenza) di una sede del comitato elettorale e men che meno di comitati di quartiere. Infine, nessun dibattito pubblico di un qualche rilievo è all’ordine del giorno.

Come spiegarsi queste carenze? La risposta, secondo chi conosce bene la galassia della destra capitolina, è che «i partiti non vogliono spendere». Gli spot televisivi e radiofonici, affittare spazi per la pubblicità e sedi costa e Michetti è un candidato civico che, pur essendo un professionista, non può ovviamente permettersi di pagare di tasca sua simili spese. In questi casi storicamente sono i partiti a mettere il cosiddetto gettone, dividendosi le spese. Invece, in questo caso la sensazione è che i partiti preferiscano nascondersi. L’unica a spendersi, con qualche manifesto sugli autobus, è stata Meloni (mettendo però la sua foto e non quella del candidato sindaco).

Il risultato, allora, è quello di un candidato che punta sui canali comunicativi locali, che conosce meglio anche vista la sua partecipazione a Radio Radio, l’emittente romana tra le più ascoltate nella Capitale.

Nella speranza che a bastargli sia l’onda lunga del successo nei sondaggi di Meloni la quale, attraverso la sua macchina di consenso social, gli sta giornalmente dando ospitalità e spazio mediatico sui propri canali.

 

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