La legge che ha stabilito l’abolizione dal 1 gennaio 2022 della maggior tutela nel settore elettrico anche per i clienti domestici è stata presentata come una liberalizzazione finalizzata a incrementare la concorrenza e favorire i consumatori.

Invece la soppressione del mercato tutelato non è una liberalizzazione perché non rimuove alcun vincolo (i clienti già dal 2007 sono tutti liberi di scegliere una offerta sul mercato libero); non incrementa la concorrenza perché, al contrario, sopprime un concorrente nel mercato dei clienti domestici (l’Acquirente Unico); non favorisce i consumatori, anzi li penalizza perché li costringe a pagare prezzi mediamente ben superiori a quelli attuali.

Si tratta quindi di una norma che favorisce solo gli interessi dei venditori di energia elettrica.

La maggior tutela non è un incentivo erogato sotto forma di prezzi fissati amministrativamente dall’Autorità (Arera) più bassi di quelli di mercato: nell’assetto definito dal decreto Bersani di liberalizzazione (vera) del 1999 il mercato tutelato è approvvigionato dall’Acquirente Unico, una società pubblica che acquista l’energia sul mercato all’ingrosso in piena concorrenza; gli esercenti del servizio di maggior tutela (ovvero quelli che fatturano ai clienti) svolgono meramente l’attività di conferimento, remunerata da un apposito corrispettivo, dell’energia approvvigionata dall’Acquirente Unico che di fatto è il reale venditore di tali clienti. In sostanza, quindi, l’Autorità si limita a prendere atto dei costi sostenuti dall’Acquirente Unico per determinare gli aggiornamenti trimestrali dei prezzi di maggior tutela.

I vantaggi dell’Acquirente unico

Il modello dell’Acquirente unico presenta due principali vantaggi: il primo è che tutti i clienti non solo sono liberi e contendibili ma hanno comunque accesso, direttamente o tramite l’Acquirente unico, al mercato; il secondo è che si mitigano i problemi di posizione dominante degli operatori integrati (ovvero quelli che svolgono sia l’attività di distribuzione che quella di vendita).

Infatti attualmente l’Enel conferisce l’energia a circa l’86 per cento dei clienti domestici tutelati mentre ha un peso “solo” di circa il 50 per cento nel mercato libero domestico; se le due quote fossero sommabili il peso dell’Enel sarebbe del 67 per cento e analogamente anche a livello locale sarebbero dominanti aziende come Acea, A2A, Hera etc.

E’ evidente che, in assenza dell’Acquirente unico, per salvaguardare la concorrenza occorrerebbe seriamente considerare la possibilità di procedere alla separazione proprietaria delle attività di distribuzione e di vendita.

Altre due motivazioni, oltre a quella manifestamente infondata di completare la liberalizzazione, sono state proposte per sopprimere il mercato tutelato.

La prima è stata quella di rimuovere un ostacolo affinché il mercato libero nel domestico possa raggiungere una dimensione efficiente; ma tale soglia è stata superata da tempo: nel 2019 il numero di clienti ha raggiunto i 14,6 milioni.

La seconda è stata quella di favorire la nascita di nuovi operatori e nuove offerte; ma il numero di soggetti presenti nella vendita di energia elettrica nel mercato libero ha già raggiunto un valore (723 nel 2019) che appare irragionevole e sproporzionato.

Riguardo le tipologie di offerta, la loro articolazione è già molto, forse troppo ampia: oltre a quelle che riguardano i prezzi (sconti, periodi gratuiti, prezzi fissi etc.), si possono citare, tra le altre, raccolte punti, assicurazioni, sconti su carburanti, biglietti aerei, ristoranti e trattamenti di bellezza.

La soppressione del mercato tutelato quindi non è una liberalizzazione né una misura di efficientamento bensì solo un obbligo per i clienti di andare sul mercato libero.

Obbligati a essere liberi

E’ lecito quindi domandarsi come mai sia necessario un obbligo, ovvero perché una gran parte dei clienti domestici (il 50,6 per cento), non abbia liberamente esercitato la scelta di passare al mercato libero.

Non vi è dubbio che una quota rilevante di questi clienti sia costituita da clienti “poco mobili”, ovvero da clienti che non hanno la capacità o gli strumenti per informarsi, come le persone anziane, o clienti che non hanno tempo per informarsi e porre in atto i necessari adempimenti. Questi clienti o meglio queste persone andrebbero rispettate.

Ma un’ulteriore rilevante quota di famiglie non ha scelto il mercato libero per problemi oggettivi che possono essere sintetizzati in tre punti.

Il primo è l’insufficiente concorrenza: se oggi è presente un abnorme numero di venditori vuol dire che essi sono in grado di estrarre dal mercato margini sufficienti anche con modeste quantità di energia venduta e/o un numero ridotto di clienti, ovvero in condizioni inefficienti.

Tale situazione si determina solo nel caso in cui gli operatori più efficienti adottano strategie orientate unicamente ad accrescere i margini unitari e non a conquistare quote di mercato; questo è il caso, ad esempio, dell’Enel, che non ha interesse a superare significativamente la quota del 50 per cento del mercato libero domestico (quota su cui da anni è attestata) a causa delle eventuali conseguenze in termini di interventi antitrust.

Naturalmente tale situazione ha delle dirette conseguenze sul livello dei prezzi, che infatti è il secondo problema.

Il problema dei prezzi

Nel 2019 i costi medi di approvvigionamento fatturati ai clienti domestici nel mercato libero sono risultati pari a 128,1 euro al megawattora (€/MWh), il 26 per cento in più della maggior tutela (101,9 €/MWh); si tratta di circa 815 milioni di euro di maggiori oneri. Ciò non è una novità: anche in tutti gli anni precedenti i prezzi del mercato libero sono stati superiori a quelli della maggior tutela.

L’onerosità del mercato libero viene spesso giustificata in base al fatto che le offerte comprendono servizi accessori; ma in alcuni casi tali servizi comportano per i venditori addirittura vantaggi: è il caso delle offerte a prezzo fisso che sono state proposte a prezzi più elevati anche quando sul mercato a termine i prezzi risultavano sensibilmente inferiori rispetto al mercato spot, cioè immediato.

Il terzo problema del mercato libero domestico è infine la scarsa fiducia negli operatori.

Sono infatti numerosi i fattori che inducono la diffidenza dei clienti domestici: dall’aggressività degli operatori nelle fasi di contatto ai disagi che spesso devono sopportare i clienti che scelgono un nuovo fornitore, a causa di errori e di ritardi delle procedure; non mancano inoltre casi di contratti non richiesti o di pratiche commerciali scorrette.

Non a caso il tasso di reclami nel mercato libero è circa del 50 per cento superiore rispetto al tutelato.

Infine, nonostante gli sforzi dell’Arera, rimane difficile per le famiglie districarsi tra le migliaia di offerte del mercato libero; naturalmente la soppressione del mercato tutelato, i cui prezzi sono il principale riferimento, renderebbe ancora più complessa la valutazione della convenienza.

Dare più tutele 

Per indurre una maggiore fiducia dei clienti serve una semplificazione del mercato e un miglioramento sostanziale delle garanzie fornite ai clienti e dei diritti a loro riconosciuti.

L’Arera, che correttamente non ha nascosto i limiti ed i problemi attuativi della norma di soppressione del mercato tutelato, ha proposto che i clienti domestici non ancora passati al mercato libero vengano assegnati, attraverso procedure concorsuali, a nuovi fornitori. Una sorta di “privatizzazione” del ruolo di fornitore dei clienti domestici con la peculiarità, tuttavia, che tale “privatizzazione” non porterebbe alcun introito per il bilancio pubblico né alcun beneficio ai consumatori posto che, a giudicare dai prezzi, tale ruolo è già svolto con efficienza, oggi, dall’Acquirente Unico.

Occorre al più presto porre rimedio agli errori fatti perché nel frattempo la norma, con l'incombenza della fine della maggior tutela dal 1 gennaio 2022, viene utilizzata come motivazione per “convincere” le famiglie a passare al mercato libero.

Anche se, più di venti anni dopo il decreto Bersani, le parole “liberalizzazione” e “concorrenza” sembrano purtroppo passate di moda al punto da stravolgerne il significato, è importante che lo stato torni a sostenere, con le norme e con l’iniziativa delle istituzioni, le liberalizzazioni vere, ovvero quelle fatte a beneficio dei consumatori.

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