«Il paese va a fuoco», urlano gli israeliani radunati a piazza Santi Apostoli a Roma, per manifestare contro il primo ministro Benjamin Netanyahu in visita in Italia, «e Sara va a tagliarsi i capelli». Alludono alla moglie del premier, Sara Netanyahu, che si è fatta sorprendere dai manifestanti mentre si faceva la piega dal parrucchiere durante una delle ultime manifestazioni a Tel Aviv.

I circa 100-150 israeliani residenti in Italia che nel pomeriggio hanno manifestato contro la riforma del sistema giudiziario, interpretata come una deriva autoritaria dello stato ebraico, hanno poi improvvisato un coro che unisce la lingua madre con quella adottiva: «Bibi, Bibi, vaffanculo».

«Ho 22 anni e studio relazioni internazionali alla Sapienza», dice Daniel con un cartello con scritto “dittatore” e l’immagine di Bibi. «Temo la riforma che svuoterà di potere la corte suprema, perché il governo potrà passare leggi anti democratiche in contraddizione con libertà e diritti. Sul modello di Ungheria e Turchia».

Ma perché Bibi ha preso quest’iniziativa? «Penso che se non pendessero su di lui i processi per corruzione, non avrebbe proposto questa riforma», spiega. «È anche sotto pressione da parte dei suoi alleati estremisti, che hanno un peso importante nella coalizione».

Comunità ebraica divisa

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Il day after della visita di Netanyahu presso la sinagoga di Roma giovedì sera è guastato da recriminazioni e polemiche all’interno della comunità ebraica. E di scontro fra la rappresentanza della comunità romana e quella dell’Ucei, l’Unione delle comunità ebraiche italiane.

Il discorso di benvenuto di Ruth Dureghello, presidente della comunità romana, ha evitato qualunque accenno alle contestazioni, ribadito la linea del sostegno a Israele senza se e senza ma perché «la diaspora non ha il privilegio di esprimere dissenso», e affermato di sostenere il riconoscimento da parte del governo italiano di Gerusalemme come capitale dello stato d’Israele.

La comunità romana è prevalentemente conservatrice e incline a sostenere le scelte dei governi di destra in Israele. La scuola a Portico D’Ottavia espone una bandiera israeliana e, al suo ingresso, addirittura un poster con un caccia militare.

La presidente dell’Ucei, Noemi Di Segni, ha invece provato a dare voce anche a chi, all’interno delle 21 comunità ebraiche italiane, è a disagio rispetto alle recenti violenze dei coloni nei territori occupati e preoccupato per le lacerazioni causate dalla riforma del ruolo della Corte suprema.

«Non può essere orgogliosamente ebraico il comportamento di chi incita all’odio e alla violenza verso il proprio vicino – laico, di sinistra, arabo o palestinese che sia – di chi si fa giustizia da sé», ha detto, alludendo al pogrom dei coloni presso la cittadina palestinese di Hawara il 26 febbraio scorso. «Non si può essere orgogliosamente israeliani, né orgogliosamente ebrei, se in nome dell’identità ebraica si offre come risposta al terrore la violenza del singolo, e se c’è una legittimazione ministeriale agli atti di vendetta».

L’interruzione

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Diversi membri della comunità, durante il discorso, hanno provato a salire sul palchetto e interromperla, ma sono stati bloccati («Sai, visto che c’era la diretta streaming..», spiega uno dei presenti). Ma il discorso le è comunque valso l’urlo «Vergognati» di un consigliere della comunità e, nell’immediato post partita, la sfuriata dell’ex presidente Riccardo Pacifici: «Non puoi approfittarti così del palco, non ci rappresenti».

Al telefono Pacifici spiega: «Non può presentarsi a casa nostra senza avvertire di voler fare dichiarazioni di questo tipo. In più è eletta con un sistema insensato: ognuna delle 21 comunità italiane vale 1, ma gli ebrei sono quasi tutti a Roma e Milano, mentre alcune comunità hanno a malapena il minian (il numero minimo di uomini adulti per pregare)», spiega.

Fortuna che a Noemi di Segni era stato chiesto in tempo reale di tagliare corto, usando la motivazione di un attentato in corso a Tel Aviv. Perché nel seguito, visto da Domani, avrebbe criticato ulteriormente Netanyahu. Per la proposta di legge sulla pena di morte, in corso di approvazione, e per il proposito di modificare le leggi di base, che hanno valore para-costituzionale in Israele, senza creare unità nel paese.

«Il tema non è l’interruzione», dice in un messaggio vocale Di Segni, «ma la veemenza di chi, nella comunità ebraica di Roma, non ascolta i pareri degli altri».

Gli incontri istituzionali

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La mezza giornata di incontri istituzionali di Netanyahu, attorno a cui ha costruito una visita di quasi tre giorni, si è chiusa senza notizie di rilievo. Al punto da far pensare che la visita fosse davvero un modo per prendere per qualche giorno il largo da Israele, e rifiatare dalle proteste. sabato tempo libero fino al rientro in nottata.

Durante l’incontro nella mattinata di venerdì con il ministro delle Imprese e del made in Italy Adolfo Urso, accompagnato da una tavolata di 100 imprenditori, Netanyahu ha sciorinato i grandi classici sulle eccellenze economiche israeliane. Dalle tecnologie per il riciclo di acqua – Israele ricicla il 90 per cento dei consumi idrici – alla cybersecurity e le start up.

Anche questa volta non ha mancato di citare le grandi riforme economiche in senso liberista di cui è stato in parte fautore quando era ministro delle finanze nei primi anni 2000: secondo lui sono state determinanti per smantellare quanto restava del modello statalista dei primi decenni di storia del Paese, e lanciare un periodo di grande crescita economia. Ma non è nulla di nuovo. Anche sul gas – da qualche anno si parla di esportazioni da Israele verso l’Italia, in seguito alla scoperta di giacimenti lungo le coste dello stato ebraico – non ci sono sviluppi di rilievo.

Ai vaghi appelli per l’incremento degli scambi fra Italia e Israele espressi in mattinata, è seguito l’incontro con la premier Giorgia Meloni a palazzo Chigi. Le dichiarazioni alla stampa, rigidamente senza domande, si sono esaurite in cinque minuti di convenevoli e frasi di cortesia. Al punto che Netanyahu, forse imbarazzato di essere così breve, ha commentato «So che la premier ha un aereo da prendere». All’ipotesi dello spostamento dell’ambasciata italiana a Gerusalemme, che verrebbe riconosciuta come capitale, Meloni non riserva neppure un accenno. Malgrado le pressioni della vigilia.

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