Non tira buon vento per Matteo Salvini, soprattutto al sud, dove le elezioni regionali calabresi rischiano di anticipare la debacle nazionale. Il segretario del Carroccio 2.0, con l’ambizione di portare il partito oltre la linea gotica oggi vede erodere il consenso conquistato nella piazza dei talk show negli anni passati. È una crisi strutturale di un partito che dopo aver riempito di promesse gli elettori, oggi vede il calo naturale dei consensi, dovuto soprattutto ad una posizione ambigua nei confronti di un governo dove non rinuncia a sedere ma che continua a bersagliare, perdendo di credibilità. Ma i problemi, se iniziano da Roma, finiscono inevitabilmente nei territori. La Calabria diventa così il primo stress test per il partito di Matteo Salvini e per la sua leadership.

Lo scontro

Nella regione, da mesi è in corso un braccio di ferro tra il commissario regionale del partito, Francesco Giacomo Saccomanno e la dirigenza locale, che è sfociata in una lunga lettera in cui 300 leghisti calabresi si autosospendono dal partito in contrasto con i vertici regionali del Carroccio.

Il documento inviato al segretario è un vero è proprio atto d’accusa contro Saccomanno, reo di aver diffuso nel marzo scorso un vademecum del “perfetto leghista”, in cui si invitavano gli esponenti locali a non parlare con la stampa ed evitare di confidare malumori interni ai giornalisti. Inoltre, scriveva Saccomanno, «con la nomina del commissario si azzerano tutte le posizioni esistenti e, quindi, decadono tutti gli organi sui territori. Ogni decisione definitiva sarà assunta dopo la competizione regionale anche a seguito dei risultati raccolti e guardando appunto anche all’impegno e, quindi, alla meritocrazia» e chi ha bisogno di parlare con i vertici nazionali dovrà passare da lui. Una gestione totalitaria che non è piaciuta alla base, tanto che a distanza di mesi e alla vigilia di un voto importante per ridefinire gli equilibri interni al centrodestra, i dirigenti locali contravvenendo alle disposizioni del commissario, hanno messo nero su bianco il loro mal di pancia.

«Con la morte di Jole Santelli – scrivono i dirigenti – il partito ha cominciato a perdere la sua vocazione storica di movimento del territorio e il distacco, la forbice con il commissario divenne via via sempre più ampia, tanto quell’incarico alla Lega ha solleticato appetiti di potere (in ogni declinazione lo si voglia intendere) da parte di molti. Oggi si assiste a nomine di dirigenti a vario livello del partito, ma anche nomine in enti locali e aziende partecipate, sparpagliate, disorganiche che hanno un denominatore comune: allontanare e tenere al margine della gestione della Lega Calabria i fondatori, i militanti della prima ora, iscritti militanti in favore di persone transfughe da altri partiti, professionisti del lobbismo, personaggi di fama dubbia, fino ai volgari profittatori, anche in spregio allo statuto del partito che viene allegramente calpestato».

E fuori dal partito non è che vada meglio. Nella settimana di vacanza che Salvini ha trascorso in Calabria insieme alla fidanzata, alternando momenti di svago a momenti di lavoro, molto spesso si è ritrovato in piazze semideserte o al centro di contestazioni, come a Palmi, dove uno striscione gli ricordava «Insulti, il sud non dimentica». Insomma, sono lontane le piazze piene che lo avevano accompagnato negli anni precedenti, regalandogli il 12,25 per cento di preferenze alle regionali 2020, che hanno eletto la forzista Jole Santelli, poi prematuramente scomparsa.

Nessuno in regione sembra avere dubbi che a vincere le prossime regionali sarà il candidato del centrodestra, Roberto Occhiuto, aiutato anche dall’incapacità di fare sintesi delle sinistre che si presentano in ordine sparso con Amalia Bruni, Mario Oliverio, Luigi De Magistris. Ma per Salvini la partita della Calabria riguarda soprattutto la sua leadership, che ha iniziato a erodersi con l’appoggio al governo Draghi. Con le elezioni regionali calabresi, Salvini non solo rischia di vedere infranto il suo progetto di una Lega nazionale, ma soprattutto di vedere certificato, alle urne, il sorpasso di Fratelli d’Italia sulla Lega.

«In regione – raccontano gli osservatori – nascono in continuazione nuovi circoli che fanno riferimento al partito di Giorgia Meloni e sono soprattutto i giovani ad aderire».

Insomma, i segnali della frantumazione di un consenso, che fino a qualche tempo fa sembrava granitico, ci sono tutti e una sconfitta provocherebbe uno scossone anche a livello nazionale. Il segretario inizia a vedere eroso il proprio consenso anche all’interno di via Bellerio, dove qualcuno comincia a rimpiangere la Lega della prima ora, intransigente e sovranista. Oggi l’accusa che si rivolge al segretario è quella del camaleontismo, dopo che ha portato il partito al governo e allo stesso tempo all’opposizione, perfettamente immedesimato in tutti i vizi di quella “Roma ladrona” additata fin dalla prima ora.

Oggi la Lega che sognava di conquistare l’Italia rischia di essere colpita dal rinculo di quella scalata veloce operata da Salvini e a beneficiarne è il partito di Meloni, che, rinunciando alle poltrone di governo, è rimasta libera, e in totale solitudine, di fare un’opposizione credibile al governo, raccogliendo i voti degli scontenti del centrodestra e sfilando la leadership della coalizione al Capitano.

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