La volta in cui Ignazio La Russa aveva dato della «banda musicale di semi pensionati» all’11esima compagnia di polizia Bozen, agli ordini delle SS, colpita dall’azione di guerra di via Rasella il 23 marzo 1944 a Roma, poi aveva cercato di scusarsi alla sua maniera, «non so se effettivamente è errata la notizia, più volte pubblicata e da me presa per buona, che i riservisti altoatesini inquadrati nella polizia tedesca facessero anche parte della banda militare del corpo» («No, erano obbligati a cantare mentre rientravano dall’addestramento, per terrorizzare i romani», ricorda in un’emozionante lezione proprio sul luogo della battaglia lo storico Alessandro Portelli, dinanzi a una folla di romani).

La seconda volta, venerdì, quando ad alcuni giornalisti ha detto che «nella Costituzione italiana non c’è l’antifascismo», invece di scusarsi di nuovo La Russa minaccia querele: «Sto raccogliendo le dichiarazioni e i commenti vistosamente falsi e offensivi, diversi dal legittimo dissenso, per valutare ogni opportuna azione a tutela della mia onorabilità». Onorabilità che difenderebbe meglio tacendo, se non dimettendosi da presidente del senato come gli chiedono le associazioni partigiane.

È la stessa conclusione – meglio tacere – che rimbalza dai palazzi del centro della Capitale, a taccuini chiusi e microfoni spenti: sarebbe meglio che il presidente del senato rispettasse la consegna di «non parlare più di fatti storici» che pure si era dato dopo la prima scivolata. Il ragionamento suona così: l’uomo è un bravo cristiano, la sua incontinenza verbale è nota, che ci possiamo fare se non lo capisce da solo che non parlare al bar (in realtà era la buvette di Palazzo Madama, ndr) della Costituzione? Dal primo svarione La Russa si è tacitato per qualche giorno, poi ha ricominciato a esternare su temi poco usuali per una seconda carica dello stato: ad esempio per «abbracciare fraternamente» un giornalista amico costretto via social a un coming-out forzato.

La Russa chi?

L’imbarazzo della maggioranza e del governo per lo straparlare del presidente ormai è generale. Per smarcarsi, anche i ministri ritardatari si affrettano a far sapere dove andranno a celebrare la Liberazione. Quello dell’interno Matteo Piantedosi, fin qui renitente alla festa, buon ultimo annuncia che sarà a Castelvetrano, in ricordo delle vittime di mafia: lì cercherà di dribblare le contestazioni che lo inseguono per tutto il paese. Un esercizio in cui quel giorno si dovranno misurare forse anche altri colleghi: ringraziare La Russa. Antonio Tajani prende le distanze: il ministro degli esteri, forzista, sottolinea che «gli eroi della liberazione d’Italia non sono un patrimonio di questo o quel partito, ma sono un patrimonio d’Italia».

Stesso mood nella maggioranza. Dalla Lega affiorano diverse sfumature di antifascismo. Gli amici del vecchio Umberto Bossi ricordano che il senatùr nel 1994 sfilò al corteo di Milano (poi in autunno cadde il governo). Il presidente del Veneto Luca Zaia è della stessa scuola: «Il 25 aprile è fondante», «la festa della lotta all’intolleranza, al razzismo, alla violenza e alla mancanza di libertà. Che sono valori di tutti, non di destra o di sinistra». Matteo Salvini festeggia con meno trasporto, ma anche lui non difende La Russa: «Non commento, io sono ministro delle Infrastrutture, il mio obiettivo è sbloccare i cantieri, creare lavoro e sicurezza. I cittadini mi pagano per questo, non per commentare», dice ai cronisti che lo seguono al Salone del Mobile di Milano.

A Palazzo Chigi il tema ormai è tabù. Consegna del silenzio. La mattina della Liberazione Giorgia Meloni sarà a Roma alla tomba del Milite ignoto con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella; e questa informazione viene considerata la pietra tombale su tutte le polemiche. Ma sarà difficile: perché La Russa si infilerà al loro fianco, in cerca di riabilitazione, prima di volare a Praga a rendere omaggio a Jan Palach.

Il fatto è che la premier fatica a governare sia i suoi compagni di partito sia i suoi ministri. Ieri dalla Stampa il titolare della difesa Guido Crosetto affermava che «L’Italia non spenderà tutti i fondi del Pnrr». In mattinata Crosetto smentisce, e nega di aver usato anche un’espressione ironica sul presidente del senato («Sarò con il presidente della Repubblica. Io viaggio solo con la prima classe»). Ma il giornale conferma tutto.

Per correre ai ripari lo staff della premier anticipa alle agenzie un’intervista che oggi uscirà su Milano Finanza: «Sul Pnrr sento e leggo cose che non esistono. Come il ministro Fitto ha già spiegato in diverse sedi istituzionali, governo e maggioranza stanno lavorando con la Commissione europea per risolvere alcuni problemi strutturali del Piano. Ma il Pnrr, sia chiaro, non è un problema, ma una grande opportunità che il governo non si lascerà sfuggire, nonostante errori e ritardi che ha ereditato». Tradotto: Liberazione, Pnrr, parlate tutti troppo.

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