«Non vi vergognate? Pezzi di merda» e giù pugni, calci forti. Roma, stazione della metro Valle Aurelia, nove di sera. Due ragazzi, due giovani uomini, Jean Pierre e Alfredo, 28 e 24 anni, si baciano per salutarsi. Su di loro piomba un energumeno, li ha visti dall’altro marciapiede e poi non ci ha visto più, ha attraversato come una furia i binari della metro, li doveva menare. Un amico della coppia riprende la scena con lo smartphone. Si sente una voce di donna che urla a distanza. Alfredo che urla: «Jean Pierre, Jean Pierre». Jean Pierre che cerca di scansare i colpi. È il video dell’ultima aggressione omofoba denunciata, risale al 26 febbraio scorso. Secondo le associazioni in Italia questa scena si ripete più di una volta al giorno. Ma il dato è parziale: non sappiamo quante non vengono denunciate. Ma Jean Pierre Moreno è un attivista per i diritti Lgbt, non vuole lasciar cadere la cosa. L’aggressore è stato poi identificato.

L’episodio ha suscitato grande solidarietà bipartisan. Ma la destra assicura che le leggi esistenti bastano a “incastrare” il violento. Non è così, non sempre: Rosario Coco, di Gaynet Roma, racconta com’è andata con le forze dell’ordine: «La polizia ha faticato a comprendere il movente omofobo ed è servita una integrazione della denuncia per mettere nero su bianco la richiesta di recuperare i video delle telecamere di sicurezza, che proverebbero la dinamica dei fatti».

Il nome e la cosa

«Bisogna dare un nome alle cose, per farle emergere», spiega Alessandro Zan (Pd). È il primo firmatario di un disegno di legge che però si è incagliato in commissione giustizia del Senato. Il testo introduce misure di «prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità».

Una formula dettagliata, frutto di molte mediazioni che hanno consentito, lo scorso 4 novembre, alcuni sì anche da destra: Elio Vito, Giusy Bartolozzi, Renata Polverini e Matteo Perego di Cremnago. Il voto segreto ha aiutato anche altri a dire sì. Zan racconta di «un approccio trasversale» in obbedienza a «una direttiva europea del 2012 ci chiede di adeguare la nostra legislazione». Il ddl Zan è uno dei provvedimenti che la maggioranza giallorossa del governo Conte, fra contagi e crisi politica e nuova ondata di contagi, ha la lasciato a metà del guado.

Nella palude

Dopo l’approvazione alla Camera la legge è approdata al Senato, in commissione Giustizia. Presieduta però da un leghista, Andrea Ostellari, che non l’ha ancora «incardinata» nella discussione: non ha nominato un relatore e non l’ha calendarizzata. Succube, dicono da sinistra, del capogruppo leghista in commissione, il senatore Simone Pillon, padre del Family day di Verona e di una controriforma del diritto di famiglia, poi affossata.

Ostellari per ora non parla, i suoi fanno sapere che la legge sull’omofobia «non è una priorità», i leghisti chiedono di «non strumentalizzare vili aggressioni per fini politici. Il nostro codice penale prevede già condanne e sanzioni adeguate per chi compie simili orribili aggressioni». Il riferimento è alla legge Mancino. Il Pd la pensa all’opposto: «Chiediamo la rapida calendarizzazione della legge. Il tema è sentito da tutti, ed è urgente. Anche il segretario Letta ha dato un segnale forte in questo senso», assicura la senatrice Monica Cirinnà, attivista per i diritti e madre della legge sulle unioni civili, che il giorno della fiducia a Draghi si è presentata in aula con una vistosa collana arcobaleno. Ma la Lega si prepara a fare muro. Tentando varie strade.

La prima è pretendere di non affrontare «temi divisivi» per la maggioranza: «È come se noi volessimo riproporre i decreti Salvini», dice il capogruppo alla camera Riccardo Molinari. «Un’idea sbagliata, ed è un’umiliazione del parlamento che ha tutto il diritto di votare una legge già approvata alla Camera», replica il capogruppo Pd in commissione Franco Mirabelli. «Al primo ufficio di presidenza utile insisteremo», quello di martedì scorso è misteriosamente saltato, «e se il presidente Ostellari rimanderà la questione alla capigruppo, si affronterà in quella sede». Sarà una prova di forza del «nuovo Pd»? «Non una prova di forza ma una prova di buonsenso», risponde Mirabelli.

D’accordo con lui il ministro Andrea Orlando: «Ogni forza politica deve mantenere la propria libertà, il Pd deve farlo. Non sarebbe la prima volta che si creano maggioranze diverse tra governo e parlamento e questo sarà ancora più frequente con una maggioranza così ampia». Fra l’altro come alla Camera, anche al Senato potrebbero arrivare voti da destra. La vicepresidente dell’aula Gabriella Giammanco, berlusconiana, ha già annunciato che voterà sì. E così potrebbe fare la collega Barbara Masini. E forse la presidente dei senatori forzisti Anna Maria Bernini.

Ora che è cambiata la maggioranza di governo, il Pd porterà la legge a meta? Il segretario Enrico Letta è convinto di sì: «L’impegno del Pd contro l’omofobia e a favore del ddl Zan prosegue con maggiore determinazione». Per la cronaca va segnalato qualche (ormai) isolato malumore sul testo in casa Pd a proposito delle fattispecie delle aggravanti. Liti in famiglia, che rischiano di fornire alibi alla destra.

I vestitini di Meloni

Giorgia Meloni, leader di FdI, è scatenata contro: è riuscita spericolatamente a trasformare la sua solidarietà con la coppia aggredita a Valle Aurelia nella ragione per dire no all’aggravante di omofobia, pur invocando «una pena esemplare» contro l’aggressore. «La violenza e la discriminazione sono già punite nel nostro ordinamento», «diverso è utilizzare questo argomento per fare altro, ad esempio andare dai ragazzi di sette anni per fargli scambiare i vestiti per spiegargli che cosa è l’omosessualità». «È vergognoso che Meloni distribuisca fake news speculando sui diritti dei bambini e sulle paure dei genitori», replica Zan. Lasciando al loro posto i vestiti dei bambini, l’obiezione è che il codice penale già prevede l’aggravante per motivi abietti e futili. «Argomentazione priva di fondamento», secondo Luciana Goisis, docente di Diritto penale a Sassari, ascoltata in commissione alla Camera, «La giurisprudenza sottolinea che tale aggravante va riconosciuta in base alle valutazioni medie della collettività in un dato momento storico: ora è evidente che l’accettazione dell’omosessualità non è affatto oggetto di condivisione unanime nella società italiana, sicché difficilmente, a meno di una interpretazione adeguatrice da parte della giurisprudenza, si può ritenere applicabile alla violenza omofobica».

Tradotto: dipende dal giudice. E neanche l’obiezione che si introdurrebbe una limitazione della libertà d’opinione regge: «Estendiamo la legge Mancino che oggi combatte i crimini d’odio per razzismo e religione», spiega ancora Zan, «applichiamo gli stessi articoli del codice penale, la giurisprudenza ha già stabilito il confine fra la libertà di espressione e istigazione all’odio. O forse vogliono abolire la legge Mancino?». Insomma Lega e FdI dovranno farsene una ragione, giurano i dem, dopo Pasqua il ddl Zan comincerà ad essere discusso a palazzo Madama. A partire dall’ufficio di presidenza di mercoledì prossimo.

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