La giustizia disciplinare dei magistrati corre come il vento, quando vuole. Nel caso di Luca Palamara, la volontà c’è tutta: il procedimento davanti alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura è cominciato il 21 luglio e la sentenza è già stata fissata per il 16 ottobre. Mai si è vista, al Csm, una marcia a tappe così forzate. La prossima udienza è fissata per lunedì 28 settembre e per i due giorni successivi e si entrerà nel merito dell’accusa.

Partiamo da qui per ricostruire la vicenda che ha squassato le fondamenta del terzo potere dello stato, svelando il sistema delle nomine pilotate, delle piccole vanità e degli interessi di bottega della magistratura associata, finito sui giornali sotto forma di chat come prima era successo a politici e faccendieri. Tutto gira intorno a Luca Palamara: magistrato romano abilissimo nel tessere rapporti trasversali, ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati, leader e manovratore della corrente di centro “Unicost”. Nella primavera 2019 la procura di Perugia, competente a indagare sulle ipotesi di reato dei magistrati del distretto di Roma, apre un fascicolo contro di lui per corruzione nell’esercizio delle sue funzioni. Il reato è grave e rientra nella lista di quelli per i quali è possibile utilizzare il virus spia Trojan horse. Da quel momento, il cellulare di Palamara diventa una microspia che lo segue ovunque. È così che gli inquirenti ascoltano ciò che accade il 9 maggio 2019 all’hotel Champagne di Roma: Palamara incontra i deputati di Italia viva Luca Lotti e Cosimo Ferri, a sua volta magistrato e capocorrente di Magistratura indipendente, e quattro membri togati del Csm. Al centro della discussione c’è la nomina del nuovo procuratore capo di Roma, al posto del pensionato Giuseppe Pignatone, e come fare in modo che venga eletto un magistrato gradito ai presenti. Poche settimane dopo e molto prima che l’indagine sia conclusa, le intercettazioni finiscono pubblicate dai principali giornali: scoppia l’inchiesta “caos Csm” e viene alla luce un meccanismo di spartizione delle nomine ai vertici degli uffici giudiziari tutto pilotato dalle correnti. Soprattutto si apre quella che il presidente dell’Anm, Luca Poniz, definisce la «questione morale della magistratura».

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La reazione del Csm

La procura di Perugia prosegue la sua indagine, che perde alcune ipotesi di reato ma si conclude con il rinvio a giudizio di Luca Palamara nel 2020. Contemporaneamente il Csm apre un procedimento disciplinare. Le accuse sono gravi: comportamento scorretto nei confronti dei colleghi e uso strumentale della propria posizione per condizionare il Csm. La pena probabile: la radiazione.

La difesa di Palamara sceglie la strada della chiamata in correità. Ha presentato una lista di 133 testimoni da ascoltare in udienza, tra i quali attuali ed ex consiglieri del Csm e dell’Anm, ex ministri e finanzieri. L’obiettivo: dimostrare che Palamara è stato solo un ingranaggio in un meccanismo di spartizione ben più grande e molto oliato, di cui fa parte tutta la magistratura associata, compresi i componenti della sezione disciplinare chiamati a giudicarlo. Tanto che il difensore chiede la ricusazione del giudice Piercamillo Davigo, che compare anche nella lista testi. Il Csm, però, è un organo costituzionale atipico perché giudica se stesso e i propri membri, e non tollera cortocircuiti né ingerenze. La sezione disciplinare ritiene infondata la richiesta di ricusazione ed esclude tutti i testimoni chiamati tranne cinque, da ascoltare sul metodo di intercettazione utilizzato. L’intento è quello di circoscrivere il dibattimento all’incontro all’hotel Champagne e alla condotta del singolo incolpato, Palamara, escludendo il teorema di un sistema.

L’autopromozione è legittima

In questa direzione va anche un’altra scelta. L’ufficio del procuratore generale di Cassazione, Giovanni Salvi, che sostiene l’accusa nei procedimenti disciplinari contro i magistrati, si è occupato di spulciare il fascicolo del pm dell’indagine di Perugia, per valutare ulteriori profili disciplinari a carico di altri magistrati. Palamara, infatti, chattava con moltissimi colleghi e gli scambi riguardavano il loro avanzamenti di carriera, alcuni arrivavano a definirlo il “re di Roma” quando riusciva a favorirli in una nomina. Sulla loro posizione, però, è calato un silenzio che somiglia a un’amnistia. La scorsa settimana, Salvi ha pubblicato le linee guida per la verifica dei profili disciplinari e si legge: «L’attività di autopromozione effettuata direttamente dall’aspirante, anche se petulante, ma senza la denigrazione dei concorrenti o la prospettazione di vantaggi elettorali, non può essere considerata in violazione di precetti disciplinari», perché non è «gravemente scorretta nei confronti di altri e in sé inidonea a condizionare l’esercizio delle prerogative consiliari». Nessun pericolo, dunque, per tutti i magistrati che hanno cercato Palamara per farsi agevolare negli avanzamenti di carriera. Con buona pace del fatto che, se la pratica di autopromozione esisteva, doveva esistere anche un sistema che la giustificasse.

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Il nodo Davigo

Il mantra è fare presto perché sul tavolo del collegio disciplinare si presenta un problema: uno dei membri, l’ex magistrato di Mani pulite Piercamillo Davigo, compirà 70 anni il 20 ottobre e sarà costretto ad andare in pensione. Lui non vuole lasciare il Csm, sostenendo che l’essere magistrato in attività sia un requisito per l’elezione ma non una condizione necessaria per portare a termine il mandato. Su questo deciderà la commissione Titoli del Csm, ma con Davigo presente nel collegio la difesa di Palamara avrebbe gioco facile nel sollevare la questione della “illegittima costituzione del giudice”. Individuato il problema, trovata la soluzione: un tour de force con 11 udienze in 20 giorni in modo da concludere il 16 ottobre, prima del pensionamento. La soluzione più semplice, in realtà, sarebbe stata l’astensione di Davigo come chiesto dalla difesa. Nel silenzio del regolamento, però, anche questa accelerazione si può fare. Ma fino a che punto si può ridurre lo spazio del dibattimento? Il rischio è che, per salvarsi dall’accusa di composizione illegittima, il collegio presti il fianco all’impugnazione alle Sezioni unite della Cassazione per compressione dei diritti della difesa. Soprattutto vista la portata del caso. Come si diceva, però: quando vogliono, i magistrati sanno far correre i procedimenti.

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