La riforma del Consiglio superiore della magistratura è pronta per il Consiglio dei ministri convocato per domani. Il testo, frutto della mediazione tra il Partito democratico e il Movimento 5 stelle, assegna al governo la delega per riformare l’ordinamento giudiziario.

Si tratta della prima risposta della politica e in particolare del governo di Giuseppe Conte allo scandalo che ha colpito il Csm in seguito al caso Palamara. Il disegno di legge introduce novità sul fronte dell’accesso dei magistrati alla politica; riforma il sistema elettorale del Csm; modifica i criteri di assegnazione degli incarichi direttivi ai magistrati e modifica la composizione dell’organo costituzionale e il metodo di nomina dei membri delle commissioni.

È stata definitivamente accantonata l’ipotesi del sorteggio per l’elezione dei membri togati del Csm, ipotizzata in un primo momento dal ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, ma osteggiata da molti magistrati. I consiglieri verranno eletti, ma il sorteggio è stato introdotto in due casi: nella compilazione delle liste che partecipano alle elezioni, qualora manchino candidati volontari in numero sufficiente o non ci sia parità di genere, e per la distribuzione dei consiglieri nelle commissioni. La finalità è chiara: impedire che le correnti possano pilotare l’elezione e le nomine nelle commissioni più delicate.

Eppure il rischio, secondo i detrattori – la corrente conservatrice delle toghe, Magistratura indipendente in testa – è che la nuova legge elettorale ottenga l’effetto contrario: che i candidati da eleggere vengano comunque decisi prima a tavolino.

Accesso alla politica

Tutti i magistrati “non sono eleggibili alla carica di membro del parlamento europeo, senatore o deputato, presidente della giunta regionale, consigliere regionale”, nel caso in cui abbiano “prestato servizio o hanno prestato servizio nei due anni precedenti la data di accettazione della candidatura presso sedi o uffici giudiziari con competenza ricadente, in tutto o in parte, nella circoscrizione elettorale”. Lo stesso vale anche per la candidatura alla carica di sindaco in comuni con più di 100mila abitanti.

Inoltre, “non sono in ogni caso eleggibili i magistrati che, al momento dell’accettazione della candidatura, non siano in aspettativa da almeno due mesi”. Il magistrato che decide di candidarsi, dunque, deve collocarsi in aspettativa con anticipo rispetto alla data di accettazione della candidatura, tranne che nel caso di scioglimento anticipato delle camere o di elezioni suppletive.

Nel caso in cui non venga poi eletto al magistrato è “preclusa la ricollocazione in ruolo con assegnazione a un ufficio avente competenza in tutto o in parte sul territorio” che era parte della sua circoscrizione elettorale per tre anni. Inoltre, il magistrato non eletto che viene ricollocato, ha il divieto “di esercizio delle funzioni di giudice per le indagini preliminari e dell’udienza preliminare o di pubblico ministero, con divieto di ricoprire incarichi direttivi o semidirettivi”.

Infine, il magistrato che conclude il suo incarico politico o di governo e chiede di rientrare in magistratura viene “inquadrato in un ruolo autonomo del ministero della Giustizia o di altro ministero”. Dunque, non può tornare a esercitare le funzioni di magistrato in un ufficio giudiziario.


Criteri di assegnazione degli incarichi

La riforma prevede anche che non sia più possibile procedere con le nomine “a pacchetto”. Fino a oggi la prassi era quella di aspettare che più incarichi direttivi o semidirettivi rimanessero vacanti, per poi nominare un “pacchetto” di nuovi capi degli uffici. Questa tecnica, secondo quanto ricostruito nell’indagine a carico del magistrato Luca Palamara, facilitava la spartizione correntizia degli incarichi.

La riforma prevede che “i procedimenti per l’attribuzione degli incarichi direttivi semidirettivi dovranno essere inderogabilmente avviati e istruiti secondo l’ordine temporale con cui i posti si sono resi vacanti”. Inoltre, per scegliere il candidato dovranno essere sentiti i rappresentati dell’avvocatura, i magistrati e i dirigenti amministrativi assegnati all’ufficio giudiziario di provenienza dei candidati. Tutti gli atti, infine, devono essere resi pubblici.

Vengono modificati anche i requisiti per il conferimento delle funzioni direttive, in particolare introducendo “l’obbligo di frequentazione presso la Scuola superiore della magistratura di corsi di tre settimane“, dove i candidati agli incarichi direttivi acquisiscono competenze manageriali e di gestione dei sistemi informatici.

Cambiano anche i criteri di valutazione, che si dividono in tre categorie: quelli generali, che riguardano il fatto che il candidato abbia già svolto le funzioni per cui concorre, la varietà delle sue esperienze professionali e i risultati conseguiti; quelli specifici, in merito alle materie di cui il candidato si è occupato in relazione allo specifico ufficio per il quale si candida; il criterio di anzianità, che però rimane residuale.

Secondo la relazione illustrativa, il principio alla base della riforma è di “garantire maggiore trasparenza al sistema delle valutazioni di professionalità”. Per farlo, si reintroducono “criteri organizzativi verificabili negli uffici di procura”. Si abbandona dunque la logica della prevalenza del criterio di anzianità nella scelta dei dirigenti, ma si “attribuisce all’autogoverno la responsabilità non solo nell’individuazione del candidato, ma anche nel controllo e nella valutazione al termine dell’incarico”.


Sistema elettorale

Lo schema del nuovo sistema elettorale è composto da norme che entrano in vigore immediatamente dopo l’approvazione del disegno di legge, senza bisogno di decreti legislativi. La relazione esplicita come l’intento della modifica sia quello di contrastare “l’emergente, patologico, fenomeno del correntismo, allentando il legame tra contesto associativo ed eletti nell’organo di autogoverno” e di “dare discontinuità”.

Attualmente il sistema di elezione dei membri togati del Csm è maggioritario, senza voto di lista e articolato su tre collegi unici nazionali. Secondo il documento illustrativo, questo sistema ha determinato l’effetto di “limitare i candidati a un numero corrispondente o comunque di poco superiore a quello degli eleggibili, per effetto di intese preventive agevolmente controllate dai gruppi associativi”.

Il nuovo sistema, dunque, sarà a doppio turno con 19 collegi, da individuarsi con decreto del ministero della Giustizia tre mesi prima del giorno fissato per le elezioni. Uno di questi collegi è riservato ai magistrati di Cassazione, della procura generale della Cassazione, della direzione Antimafia e del tribunale delle acque pubbliche ed elegge due componenti del Csm a maggioranza di voti. Un altro collegio invece è costituito dai magistrati fuori ruolo e dai magistrati della Corte d’appello e della procura di Roma. I restanti 17 collegi dovranno avere un corpo elettorale il più possibile omogeneo e possono ricomprendere più distretti in base al principio di continuità territoriale.

Per ogni collegio devono essere presentate almeno dieci candidature, con perfetta parità di genere. Nel caso in cui le candidature volontarie siano in numero inferiore o non ci sia parità di genere, l’elenco dei candidati viene integrato con il sorteggio dei candidati mancanti tra i membri del collegio elettorale. L’obiettivo è prevenire che i candidati siano in numero uguale agli eletti e che dunque ci siano, prima del voto effettivo, contrattazioni separate tra le correnti per scegliere i candidati.

Il sistema elettorale è a doppio turno. Al primo turno, gli elettori possono esprimere un massimo di quattro preferenze di candidati di genere diverso vengono eletti i candidati che ottengono il 65 per cento dei voti validi.

Nel caso di mancato raggiungimento della soglia, si procede al secondo turno. Gli elettori possono esprimere un massimo di due preferenze di genere diverso, scegliendo tra i quattro candidati più votati al primo turno.

Nel caso in cui un eletto cessi dalla carica per qualsiasi ragione, viene sostituito dal primo dei non eletti. Solo nel caso in cui questo non sia possibile, si svolgono elezioni suppletive.


Modifiche interne al Csm

Il disegno di legge aumenta il numero dei componenti del Csm, portandoli dai 26 attuali a trenta, venti togati e dieci laici. In questo modo, è stato possibile introdurre il divieto che i componenti della commissione che si occupa degli incarichi facciano anche parte della sezione disciplinare.

Quanto alla composizione delle commissioni, sempre in ottica anti-correnti, il disegno di legge dispone che i membri vengano scelti per sorteggio. Come si legge nella relazione, il fine è quello di “impedire la distribuzione dei posti tra le correnti all’interno degli organi”.

In questa stessa ottica è stata introdotto anche il divieto di costituzione di gruppi all’interno del Csm, stabilendo che “tutti i membri operano in piena indipendenza e imparzialità” e dunque senza alcun vincolo di appartenenza alle correnti.

In merito alla scelta dei laici nominati dal Parlamento, che devono essere professori di materie giuridiche o avvocati con più di quindici anni di anzianità professionale, viene introdotta una ulteriore ineleggibilità per chi sia stato membro del governo o di giunte regionali nei due anni precedenti.

© Riproduzione riservata