Quando il 13 febbraio 2021 Giuseppe Conte passò la campanella a Mario Draghi non aveva gli “occhi di bragia” che aveva Enrico Letta quando la passò a Matteo Renzi, ma dopo poco a piazza Colonna promise di restare al vertice del Movimento 5 stelle e di continuare la sua lotta politica.

Era evidente che non aveva accettato serenamente l’intervento del presidente Mattarella per la costituzione di un nuovo governo che facesse fronte alle gravi difficoltà del paese.

Un’offesa alla popolarità di cui godeva Conte in quel momento, popolarità che confermava la sua convinzione di essere stato un buon capo del governo che non doveva essere sostituito. Draghi era dunque un usurpatore.

Conte, come la maggior parte dei politici, si era molto affezionato al quella posizione di potere, tanto da costituire prima un governo gialloverde con la Lega poi, dopo aver violentemente attaccato Salvini in parlamento, responsabile di aver fatto cadere quel governo,  di costituire senza colpo ferire un governo giallorosso con il Pd. Fulgido esempio di daltonismo politico.

Conduzione maldestra

In seguito Conte si è dedicato a consolidare la sua posizione di capo del Movimento 5 stelle, ma con azioni maldestre, come quella di redigere uno statuto del Movimento poi caduto prima sotto la scure dei giudici napoletani, poi della Commissione parlamentare. Fatto grave per un giurista.

La conferma alla presidenza del Movimento è avvenuta col 94 per cento dei votanti, che sono stati 50mila su 130mila iscritti. Forse sarebbe più interessante fare lo stesso sondaggio tra i parlamentari grillini.

Le sue maldestre azioni non hanno mai dissipato il dubbio che non esista un vero accordo sulle future strategie del Movimento con Luigi Di Maio e con Beppe Grillo, che seguono il suo operato con palese diffidenza. Ma la sua azione continua perché il suo vero scopo è forse quello di rimandare a casa Draghi.

Spese militari

La prima azione dimostrativa è stata quella del dissenso sull’aumento delle spese militari, facilmente respinta da Draghi  che gli ha ricordato che durante i suoi governi le spese militari erano aumentate del 17 per cento, raggiungendo l’1,5 per cento del Pil, quindi verso quel 2 per cento auspicato dalla Nato.

La sua affermazione che il Movimento non avrebbe mai votato per il riarmo era una chiara minaccia alla vita del governo. Una tentazione che Conte ha poi allontanato, ben sapendo che pochissimi del Movimento lo avrebbero seguito, anche perché nel nuovo parlamento i Cinque stelle avrebbero un peso dimezzato rispetto a ora.

Anche dopo l’incontro con Mattarella, Conte ha ribadito il senso di responsabilità del Movimento nel continuare a sostenere il governo.

Grazie alla sua lunga esperienza politica Letta ha compreso chiaramente le più profonde ragioni dell’agire di Giuseppe Conte e giustamente teme per le sorti del governo che il Pd sostiene senza riserve.

Letta sa benissimo che le critiche alle spese militari sono solo il primo episodio di una serie di interventi che Conte continuerà a fare nel tentativo di logorare il governo Draghi. Perché il risentimento per un torto subito (vero o presunto) è un sentimento che si protrae nel tempo assieme a un costante desiderio di rivalsa.

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