Attuazione del Pnrr o inflazione? Caro affitti o aumento della precarietà? Propone un’ampia scelta il menù dei problemi che attanagliano l’Italia. Ma per il governo niente di tutto questo è in cima all’agenda: la priorità è riservata al presidenzialismo o al premierato forte, in attesa di capire cosa significhi.

Perché le riforme «sono la più potente misura economica», ha sostenuto la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, durante le consultazioni con le opposizioni. Quindi dopo un mantra ripetuto per giorni, la missione è stata compiuta. Non c’è una bozza, come ammesso dal sottosegretario Giovambattista Fazzolari, eppure non si parla d’altro: le riforme. Il diversivo azionato dalla premier ha funzionato, tutti hanno abboccato.

Il Partito democratico ha provato a scansare la trappola, la segretaria Elly Schlein ha chiesto indirizzare il dibattito sulle questioni cruciali per il paese, il lavoro e la sanità su tutti. L’Alleanza verdi-sinistra ha invitato a non dare credito all’iniziativa del governo sulle riforme. Ma sono stati tentativi vani, il messaggio di Meloni è passato e il cicaleccio sulla modifica alla Costituzione ha avvolto nella nebbia il resto, tra le tante cose l’affanno governativo sull’approvazione della riforma del Mes, chiesta dall’Europa. E su cui Meloni insiste negli esercizi di equilibrismo.

Pnnr sotto il tappeto

La realtà, prima o poi, busserà alla porta del governo. Volenti o nolenti, a Palazzo Chigi giace infatti il macigno di nome “Piano nazionale di ripresa e resilienza”. La sua attuazione è necessaria per ricevere le risorse dell’Ue.

La terza rata di 19 miliardi di euro non è stata ancora confermata, dalla commissione europea hanno fatto sapere che sono «in corso delle valutazioni». È questione di ore, secondo l’interpretazione del governo. Ed è plausibile. Per questo regna l’ottimismo e i segnali sembrano andare nella giusta direzione. Ma nemmeno il tempo di gioire ed ecco che all’orizzonte diventa ballerina la quarta rata.

La Corte dei conti ha lanciato l’allarme: in bilico ci sono altri 17 miliardi di euro per i ritardi sulle installazioni delle stazioni di rifornimento a idrogeno. I tempi stringono, entro la fine di giugno occorre provare a recuperare.

Ci sarebbe bisogno di un’accelerazione che non si scorge all’orizzonte. A Palazzo Chigi comunque se la prendono con chi sottolinea i problemi, che sia l’informazione o gli organismi di controllo. Per il sottosegretario Alfredo Mantovano la magistratura contabile è responsabile di «un’invasione di campo», perché vorrebbe «sostituirsi alla Commissione europea per il vaglio» sull’attuazione del piano. In tutto questo il ministro Raffaele Fitto si affanna a ripetere che «alcuni progetti sono irrealizzabili».

L’oblio sull’inflazione

Ma se per forza di cose il faro sul Pnrr viene di tanto in tanto acceso, l’inflazione è stata relegata all’oblio totale. Ad aprile l’aumento del costo della vita è stato dell’8,3 per cento, più del doppio rispetto al 4 per cento della Spagna, e superiore al 5,9 per cento della Francia e al 7,2 della Germania. La parziale consolazione è il rallentamento in confronto al 10 per cento di gennaio.

Fatto sta che i rincari divorano il potere d’acquisto degli italiani, rendendo difficile addirittura l’acquisto di beni di prima necessità. Mentre Meloni si esercita sul dilemma presidenzialismo o premierato, sono stati rilevati rincari del 17,5 per cento della pasta.

Il ministro delle Imprese del made in Italy, Adolfo Urso, ha convocato un tavolo, garantendo che presto la dinamica si calmerà. Nell’attesa un piatto di spaghetti sta per diventare un lusso. L’impoverimento procede peraltro inesorabile. L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ha messo nero su bianco che nell’ultimo trimestre del 2022 il reddito reale degli italiani è sceso del 3,5 per cento a fronte di un aumento dello 0,6 per cento della zona Ocse.

Così il clima sociale peggiora, provocando le prime proteste. Tra questi ha fatto rumore l’iniziativa degli studenti che si sono mobilitati contro il caro affitti. Ed è l’apice di un trend in atto da tempo. I costi per le locazioni sono insostenibili da tempo, ancora di più se parametrati ai salari fermi. Il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, nel mood caro al suo governo, se l’è presa con chi ha denunciato il problema, i giovani “scansafatiche”, senza pensare al problema in sé, facendo irritare la ministra dell’Università, Anna Maria Bernini. I giovani, poi, non lamentano solo prezzi alti per gli affitti.

Che mangino riforme

Sullo sfondo delle difficoltà sociali resta immarcescibile la precarietà lavorativa. Gli ultimi dati disponibili non alimentano l’ottimismo. A gennaio, secondo l’osservatorio dell’Inps, sono aumentate le assunzioni intermittenti del 14 per cento e quelle stagionali del 12 per cento. Le altre tipologie di contratti, guarda caso quelli più stabili, hanno registrato un rallentamento.

La destra che sbraitava sulla necessità di occuparsi della vita reale, continua a guardare altrove, insomma. E in attesa dei miracolistici effetti delle riforme istituzionali preconizzati dalla presidente del Consiglio, i segnali economici sono preoccupanti, la crescita del Pil dello 0,5, nel primo trimestre del 2023, rischia di trasformarsi in un pannicello caldo di fronte alla produzione industriale in picchiata, a marzo, del 3,2 per cento rispetto all’anno precedente con una riduzione dello 0,6 per cento anche in confronto a febbraio.

Ma Giorgia Meloni ha già la soluzione: se l’economia va male e il pane costa troppo, “che mangino riforme”.

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