Al Senato l’atmosfera ricorda molto quelle dei giorni precedenti alla fine del primo governo Conte. Questa volta a dividere i partiti è la riforma del Mes, il Meccanismo europeo di stabilità, su cui lunedì scorso hanno trovato un accordo i ministri delle Finanze europei. Mercoledì le due assemblee parlamentari si troveranno davanti il premier Giuseppe Conte, che interverrà alla vigilia del Consiglio europeo in programma per il 10 e 11 dicembre. Anche se al vertice non si parlerà del Mes (lo si farà solo nella riunione informale dell’Eurosummit e poi in Consiglio all’inizio del prossimo anno), si è comunque deciso di sottoporre al voto parlamentare una risoluzione che impegni il governo nella trattativa europea.

Un modo per cercare di dirimere, una volta per tutte, le questioni interne alla maggioranza. Ma proprio su questo voto si gioca oggi la tenuta del governo. Graziano Delrio, capogruppo del Pd a Montecitorio, ha detto chiaramente che in caso di un “no” all'Europa non avrebbe senso portare avanti l’alleanza.

Secondo Vito Crimi, capo politico del M5s, non ci saranno soprese: «Ci sono tremori ma sono convinto che non ci saranno problemi col voto». Ma il rischio di un “incidente” c’è. Oltre 50 parlamentari del Movimento hanno sottoscritto una lettera in cui hanno fatto sapere che sono contrari al via libera alla riforma. Sedici di loro sono al Senato, dove i numeri sono più risicati rispetto alla Camera. I Cinque stelle stanno cercando di far rientrare il dissenso e da ieri mattina lavorano su un testo da condividere con i due gruppi parlamentari prima della discussione più ampia con il resto della maggioranza. L’obiettivo è trovare alcuni punti condivisi, sempre che vi riescano. Nel frattempo è partita la conta dei voti.

Le posizioni in campo

Il Movimento 5 stelle è chiaramente diviso sulla riforma. A preoccupare sono soprattutto i senatori. Cinque-sei sono quelli su posizioni più dure (Lannutti, Granato, Crucioli, Di Micco, Lezzi e Mininno) e potrebbero votare “no” se la risoluzione non terrà conto della cosiddetta “logica di pacchetto”, ovvero tenga insieme la riforma del Mes, la creazione di uno strumento di bilancio per la competitività e la convergenza nell’Eurozona (Bicc) e l’introduzione dell’assicurazione comune sui depositi (Edis). Senza questo impegno Crucioli è uno tra quelli che voterà sicuramente “no” mentre altri 3-4 senatori potrebbero invece decidere di uscire dall’aula per non mettere in difficoltà la maggioranza e, allo stesso tempo, non essere costretti a votare un testo che non condividono.

Pd e Italia viva ribadiscono il loro sì alla riforma e continuano a punzecchiare il M5s. La linea tracciata negli ultimi giorni è chiara: nel caso la risoluzione di maggioranza venisse bocciata in aula si aprirebbe una crisi politica. Leu, seppur critico, voterebbe a favore ma rimanda a Conte l’onere di trovare una sintesi. «Siamo perché si trovi una risoluzione che consenta di tenere insieme la maggioranza», spiega un parlamentare. Ma con quale mediazione? «Deve essere il premier a trovarla».

Il pallottoliere

Se i numeri fossero confermati la maggioranza assoluta sarebbe a rischio. Ma in questo caso serve solo quella “relativa” e i numeri sembrerebbero esserci, anche tenendo conto di quale “dissidente” di Forza Italia. La posizione ufficiale di Lega, FdI e FI è di votare “no” alla riforma del Mes, puntando a sottoscrivere una risoluzione unitaria su cui tutti i parlamentari del centrodestra dovranno convergere. O almeno questo è il desiderata dei vertici.

Dentro Forza Italia, però, non tutti sono d’accordo. Le indicazioni di Silvio Berlusconi hanno creato diversi malumori. Mercoledì, prima del voto al Senato, è in programma una riunione degli azzurri in cui probabilmente verrà dato un aut aut ai dissidenti: chi vota a favore o esce dall’aula con l’intento di aiutare la maggioranza sarà cacciato.

Tutto questo salvo sorprese dell’ultima ora da parte di Berlusconi che starebbe lavorando a una mediazione per ricompattare i suoi. In ogni caso, secondo una fonte azzurra, sono 7-8 i nomi dei forzisti “riottosi” (tra i quali Franco Dal Mas, Andrea Causin e Andrea Cangini). Un soccorso aggiuntivo potrebbe arrivare dai centristi, anche in questo caso si contano 6-7 parlamentari pronti a votare a favore della riforma.

Cosa può succedere

Un voto contrario alla riforma avrebbe ripercussioni anche sul dibattito a Bruxelles. Se l’ala populista del governo deciderà di frenare la riforma del salva-Stati, si potrebbe mettere in moto un gioco di veti incrociati sul Recovery Fund e, conseguentemente, sui 209 miliardi destinati all’Italia per la ricostruzione post Covid. Certo è che con un “no” al Mes in parlamento la crisi di governo sarebbe dietro l’angolo.

Anche il presidente della Repubblica segue con preoccupazione gli sviluppi della vicenda e ha già fatto filtrare, informalmente, la propria posizione: se la maggioranza dovesse inciampare su un voto del genere – che metterebbe in discussione l’impostazione europeista dell’esecutivo giallorosso – la conseguenza sarebbe il voto anticipato. Un’ipotesi che spaventa tutti i partiti. Il prossimo parlamento, infatti, avrà il 36 per cento di parlamentari in meno dopo la riforma voluta proprio dal M5s. Ma soprattutto si andrà nuovamente a votare con il Rosatellum, una legge elettorale che non piace più a nessuno.

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