Lacrime napulitane. Meloni perde ovunque e la Lega vola in Veneto

Nel giorno degli scrutini alle regionali, la premier Giorgia Meloni è in Africa, a Luanda, in Angola, per il vertice tra Unione europea e Unione africana. Anche a distanza, però, i dati arrivano e non mentono. Certo, nel momento in cui questo giornale va in stampa lo spoglio è ancora in corso, e l’esito è stato quello atteso – il Veneto è rimasto al centrodestra, Puglia e Campania al centrosinistra. Ma sono i dati interni al centrodestra a stupire e, soprattutto, a preoccupare. Queste regionali segnano la prima brusca frenata di Fratelli d’Italia che a livello nazionale, stando ai sondaggi, veleggia intorno al 30 per cento ma sui territori stenta, come era inimmaginabile nei pronostici della vigilia. Al voto anche quattro comuni, ad Acquaro (Vv) elezioni nulle Il Veneto La vera sorpresa è arrivata dal Veneto. Alla vigilia si erano levate voci minacciose da FdI, che si era sentita defraudata perché non aveva potuto indicare il candidato presidente e puntava allo storico sorpasso della Lega alle regionali, dopo quelli alle politiche e alle europee. I meloniani erano già pronti a reclamare tutti gli assessorati di peso. Una richiesta che, presumibilmente, rimarrà sulla carta. La lista della Lega ha sfondato il 35 per cento e doppiato FdI, ferma intorno al 18. Certo, dentro il partito di Meloni il risultato viene attribuito al fatto di non avere un proprio candidato presidente, ma è un fatto che, prima che si aprissero le urne, c’era la convinzione di poter circondare politicamente Alberto Stefani, surclassando i leghisti. Invece così non è stato e gli interrogativi saranno molti: sia sulle ragioni di questa frenata, per nulla prevista dai sondaggi, sia sulle responsabilità interne. Il neo presidente, dal suo comitato a Padova dove è arrivato anche un raggiante Matteo Salvini, ha reso merito a Luca Zaia, sperando che «rimanga nella squadra per i prossimi trent’anni» (anche se il suo futuro è ancora incerto) e ha pragmaticamente dettato la sua agenda: «sociale, lavoro per i giovani, servizi socioassistenziali e urbanistica», ma anche «lavorare per portare la gente al voto», visto che l’astensionismo ha fatto crollare la partecipazione al 44,5 per cento, quasi 17 punti in meno rispetto a cinque anni fa. Il merito del successo si dividerà tra Salvini e Zaia. Il primo ha tenuto duro, ottenendo che il candidato presidente fosse di nuovo un leghista, e ha portato a casa una vittoria schiacciante nei confronti del partito della premier. Il secondo, incassando il no alla sua lista personale, ha fatto comunque incetta di voti come capolista in tutti i collegi. L’exploit di preferenze gli ha già permesso di togliersi un macigno dalla scarpa: «Se oggi avessimo avuto la lista Zaia questa maggioranza avrebbe avuto ancora più consiglieri. E si governa con i consiglieri non con le chiacchiere». Risultato: i voti che prima erano di Zaia sono tornati nell’alveo della Lega e il partito del nord è tornato a sorridere. Di più: il successo in Veneto sarà un ottimo argomento per il coordinatore regionale lombardo Massimiliano Romeo per tornare all’attacco degli alleati e pretendere che anche il prossimo candidato in Lombardia rimanga della Lega. Renzi gongola in Campania per la sua Casa Riformista, ma con Fico e Conte meglio non farsi fotografare Puglia e Campania Il trend negativo di FdI rispetto alle attese non riguarda solo il Veneto. In Campania il candidato meloniano e viceministro, Edmondo Cirielli, aveva sperato in una difficile rimonta su Roberto Fico, ma il voto lo ha inchiodato intorno al 32 per cento con l’aggravante di non essere stato un traino per il suo partito. Come da pronostico, infatti, lo scettro di primo partito di centrodestra in regione è attualmente conteso tra FdI intorno all’11 per cento e Forza Italia intorno al 10. «Entrambi hanno raddoppiato i consensi rispetto alle regionali di cinque anni fa», è stata l’analisi di Cirielli. Vero, ma non sono certo numeri che possano far sorridere Meloni, che nel collegio di Napoli aveva anche permesso la candidatura dell’ex ministro alla Cultura e oggi inviato Rai, Gennaro Sangiuliano, il quale quasi di certo rimarrà fuori dal consiglio regionale. Unica, parziale consolazione è arrivata dalla Puglia. Qui il candidato contro la corazzata di Antonio Decaro era l’imprenditore d’area azzurra Luigi Lobuono e Forza Italia sperava in un sorpasso a FdI che invece non c’è stato. Nella regione dove FdI deve fare i conti con la faida tra il coordinatore Marcello Gemmato e i dirigenti locali, il partito si è posizionato intorno al 17 per cento, più di cinque punti di distacco dagli azzurri. A guardare i primi risultati sulle preferenze, però, è facile notare come a trascinare le liste siano stati i candidati vicini al commissario europeo ed ex presidente della regione, Raffaele Fitto. Segno che lo scontro interno a FdI non si placherà con il discreto risultato del partito. Non a caso la prima dichiarazione del responsabile dell’organizzazione di FdI, Giovanni Donzelli, è stata sulla legge elettorale: «L’Italia sta godendo di una stabilità politica frutto della compattezza della coalizione di centrodestra ma anche delle divisioni del cosiddetto campo largo. Se si dovesse votare oggi non ci sarebbe la stessa stabilità, a prescindere da chi vincerebbe» quindi «quindi serve una riflessione sulla legge elettorale». Con un sottinteso: queste regionali sono un campanello d’allarme per il suo partito, che si sentiva egemone e si è scoperto fragile, almeno sui territori e in tre regioni molto popolose. Dunque meglio correre ai ripari, cambiando la legge elettorale. Con queste ultime elezioni si è chiusa la tornata di regionali: su sette votazioni, tutte hanno lasciato la situazione invariata con la conferma della coalizione che governava. Nessuna spallata al governo, dunque, ma dati su cui Meloni dovrà riflettere. Soprattutto sul come impiegare l’ultimo anno e mezzo di legislatura per garantirsi la rielezione. Campania degli scandali, il candidato pro Fico e l’imputato vicino ai clan