Non accenna a placarsi la polemica intorno al caso Almasri e certamente avrà anche ulteriori conseguenze concrete, quantomeno sull’asse Roma-l’Aia. Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, non arretra rispetto alla linea prospettata anche nell’informativa al parlamento: non ha dato seguito alla richiesta di arresto della Corte penale internazionale perché il mandato era «completamente sbagliato secondo me, addirittura nullo», ha ripetuto davanti ai penalisti riuniti a Milano per l’apertura del loro anno giudiziario.

Davanti alla platea di avvocati ha addirittura alzato il tiro: «Perfino ad Eichmann è stato concesso un processo regolare», ha detto riferendosi al processo al gerarca nazista Adolf Eichmann, raccontato nel libro di Hannah Arendt La banalità del male. La tesi del ministro è sempre la stessa: a sbagliare è stata la Cpi, che ha prodotto un atto viziato sulla base del quale era impossibile procedere, perché altrimenti si sarebbe andati contro il principio di legalità. «Se noi volessimo trattenere in vinculis una persona perché è un torturatore, un assassino o altro a dispetto delle regole che disciplinano i processi, allora nemmeno la Cpi avrebbe ragion d'essere», ha continuato Nordio.

Parole pesanti, che certo non contribuiscono ad allentare la tensione con la Cpi che formalmente non risponde ma che all’interno è in subbuglio a causa dell’atteggiamento dell’Italia. Fonti interne, però, fanno trapelare quale ritengono sia l’errore del guardasigilli italiano, racchiuso tutto in quel «secondo me», riferito alla possibile nullità dell’atto. A rigore di norma, infatti, Nordio non avrebbe alcun potere valutativo di merito su un atto della Cpi, anche perché rappresenta un organo dell’esecutivo e non certo giudiziario, come già gli è stato fatto notare anche dalla magistratura italiana. Il suo unico margine di accertamento, secondo le stesse fonti, riguarda il fatto che l’atto «provenga effettivamente dalla Cpi» e che sia esplicitata «la richiesta di arresto». Tutto ciò che è contenuto nel mandato, invece, non può essere oggetto di suo sindacato e anche una ipotetica eccezione di nullità potrebbe eventualmente essere presentata dall’avvocato difensore di Almasri.

In altre parole, Nordio si sarebbe messo nei panni di una parte nel procedimento della Cpi, invece di rivestire quelli neutri di membro dell’esecutivo di uno dei paesi fondatori della Corte.

Le conseguenze

Il ministro non avrebbe nemmeno margine – ora che Almasri è stato rilasciato ed espulso – di chiedere chiarimenti alla Corte. Invece Via Arenula ha confermato di essere pronta a inviare all’Aia nei prossimi giorni un documento per chiedere alla Cpi spiegazioni sulle incongruenze nelle procedure attivate per il mandato di arresto del generale libico, in cui si chiederebbe conto degli «incomprensibili salti logici» presenti nel dispositivo.
Al contrario, l’unica conseguenza della scelta di Nordio di non dare seguito al mandato di arresto sarà l’attivazione della procedura prevista dallo Statuto di Roma all’articolo 87. «Quando lo Stato non adempie alla richiesta di cooperazione della Corte, non rispettando le previsioni dello Statuto e quindi impedendo alla corte di esercitare le sue funzioni e i suoi poteri, la Corte può aprire una indagine e riportare la questione all’Assemblea degli stati membri oppure al Consiglio di sicurezza», si legge al comma 7.

Proceduralmente, si tratta di un procedimento di natura amministrativa, per cui la Corte instaura un contenzioso con lo stato che non ha ottemperato alla richiesta, chiedendo prima di tutto giustificazione delle ragioni. Nel caso in cui queste non soddisfino, si apre la fase di accertamento della violazione dello Statuto. Nel caso specifico di Almasri, la questione verrebbe inviata non solo all’Assemblea degli stati membri ma anche al Consiglio di sicurezza dell’Onu, che con una sua risoluzione aveva attivato la Cpi sulla situazione in Libia.

Su quanto sia probabile che questa procedura venga attivata risponde Cuno Tarfusser, ex magistrato e giudice della Cpi dal 2009 al 2018: «È pacifico che ciò accada, si tratta quasi di un automatismo», spiega, ricordando come nei suoi anni da giudice penale internazionale ha visto più volte attivato l’articolo 87.7, nei confronti del Sud Africa per esempio nel caso dell’ex presidente sudanese al-Bashir.

Lo stesso Tarfusser, invece, ha escluso che le denunce pervenute alla Cpi da parte delle vittime di Almasri possano avere alcun effetto nei confronti dei ministri italiani. «Per una ragione di diritto: l’articolo 70 citato nelle denunce non prevede la fattispecie di reato» indicata dalle vittime. Inutili, dunque, sarebbero anche le altre denunce legate al caso Almasri, annunciate dall'avvocato Omer Shatz, direttore di Front-Lex, l'organizzazione di avvocati per i diritti umani.

Lo scontro procedurale, dunque, sarà tutto a livello istituzionale tra la Cpi e il governo italiano sul mancato rispetto dello Statuto di Roma. Con un esito che – al netto delle carte bollate – non potrà essere che quello di raffreddare se non proprio incrinare i rapporti del nostro paese con la giurisdizione penale internazionale che l’Unione europea è in prima linea per difendere.

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