Cresce l’irritazione per le uscite a gamba tesa del ministro su tutti i dossier. L’ira di Tajani per i rapporti con il vice di Trump: «La politica estera non la decide Matteo»
Sono lividi, a Palazzo Chigi, per questo attivismo non richiesto del ministro dei Trasporti e vicepremier Matteo Salvini che commenta tutto ciò che sconfina dal suo dicastero: dalla questione dazi a Starlink, dall’Ucraina al riarmo europeo. Competizione è diventata ufficialmente la parola chiave del governo Meloni. C’è una gara visibile: quella tra i due vicepremier Salvini e Antonio Tajani che rincorrono l’avanzata del partito di Giorgia Meloni. E una sotterranea: quella tra il “Capitano” e la leader di Fratelli d’Italia per accreditarsi con Washington. Per quanto Salvini giuri che non è così: «Ho parlato al telefono con il vicepresidente americano Vance e ho letto alcuni giornali che parlano di guerra con Meloni» sui contatti con gli Stati Uniti: «Retroscena inesistenti e surreali. È Scherzi a parte, non è giornalismo».
Ma qui, a differenza della trasmissione del Biscione, non ci sono fuori onda, e a stretto giro arriva chiaro e con un retrotono piccato il commento di Tajani: «La politica estera la fanno il presidente del Consiglio e il ministro degli Esteri. Queste sono iniziative, legittime, personali, ma la politica estera la fa il Premier e il ministro. Sono le posizioni ufficiali del governo. Se qualche ministro poi vuole parlare con esponenti di amministrazioni di vari paesi è legittimo. La linea politica, lo ripeto, la danno il presidente del Consiglio e il ministro degli Esteri del nostro paese». Una precisazione sottolineata tre volte, difficile da fraintendere.
Il ruolo di Stroppa
Intanto Fratelli d’Italia inizia a guardare con fastidio a quel rapporto tra Salvini («che non sta ai patti», dicono i meloniani) e Andrea Stroppa, braccio destro di Musk in Italia, che nei giorni scorsi aveva già creato irritazione al primo piano della presidenza del Consiglio per i “sondaggi” contro il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi e favorevoli, invece, al leader della Lega. C’è proprio lui dietro l’incontro Salvini-Vance: «Se sono stato io a mettere in contatto JD Vance e Matteo Salvini? Diciamo di no, che sennò succede...», glissa nel corso di un colloquio proprio sulla piattaforma di Elon Musk, X, con il giornalista Nicola Porro, poi torna divertito sul tema.
Prima smentisce la possibilità che l’Italia, tramite il ministro della Difesa, Guido Crosetto, starebbe pensando di tagliare fuori Starlink, la società di Musk, per chiudere un accordo con Eutelsat, la società francese per le comunicazioni militari e istituzionali: «Falso. Crosetto sta già parlando con gli americani». Poi torna sul legame Salvini-Usa: «Secondo me il fatto che Salvini abbia avuto un contatto con Vance è molto positivo». In fondo: «Non ci capisco nulla di politica, a me interessano i risultati».
L’allarme di Mattarella
Sulla guerra interna dei posizionamenti tra chi ambisce a diventare portavoce di Trump oltreoceano (Meloni) e chi aspira a essere il Trump d’Italia (Salvini), ci pensa il presidente della Repubblica Sergio Mattarella a mettere al centro il bene del paese: «Nuove nubi sembrano addensarsi all’orizzonte, portatrici di protezionismi immotivati, di chiusura dei mercati dal sapore incomprensibilmente autarchico», ricorda facendo riferimento d’emergenza sui dazi che gli Stati Uniti applicheranno dal 2 aprile sui prodotti europei, compresi quelli italiani. Il capo dello Stato parla dal 44esimo Forum della cultura dell’olio e del vino a Roma. A essere colpiti, sottolinea Mattarella, a essere «danneggiati» sarebbero «settori di eccellenza» come appunto quelli di olio e vino. «Il futuro non si costruisce vivendo di nostalgie».
Mattarella aggiunge che «produrre per l’autoconsumo ricondurrebbe l’Italia all’agricoltura dei primi anni del Novecento». «Commerci e interdipendenza sono elementi di garanzia della pace», conclude il presidente della Repubblica. «Nella storia la contrapposizione tra mercati ostili ha condotto ad altre più gravi forme di conflitto. I mercati aperti producono una fitta rete di collaborazioni che, nel comune interesse, proteggono la pace».
Un monito che letto in filigrana sembra chiedere una posizione netta al governo che per adesso non c’è: Giorgia Meloni, alla Camera, non ha chiarito la strada per evitare che i dazi si abbattano anche sui prodotti italiani. «Credo non sia saggio cadere nella tentazione delle rappresaglie, che diventano un circolo vizioso nel quale tutti perdono». Tajani, invece pensa che serva «investire di più negli Stati Uniti, e di importare di più dagli Stati Uniti».
E mentre Salvini si propone come mediatore e salvatore possibile («Sui dazi conto che riusciremo a ridurre il problema parlando direttamente con gli Stati Uniti»), il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti è tornato a spiegare come dazi e criptovalute siano «vere e proprie “armi economiche” in grado di ridefinire gli equilibri e le dinamiche finanziarie e commerciali globali, ma che stanno anche influenzando profondamente la politica mondiale». La sintesi di giornata arriva dal capogruppo del Pd al Senato, Francesco Boccia: «La destra sta facendo disastri, ed è sotto gli occhi di tutti che la presidente del Consiglio di fatto ci stia svendendo a Trump. Il ministro degli Esteri ha ribadito che dal 2 aprile, quando partiranno i dazi americani, non dovremmo rispondere. Io penso ai nostri agricoltori. Penso ai produttori della meccanica, della siderurgia. La lista è lunga. Essere così supini all’amministrazione Trump è una follia».
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