I giorni del Papeete sembrano lontanissimi. Eppure, è trascorso appena un anno, undici mesi per l’esattezza, dalla crisi di governo annunciata da Matteo Salvini in costume dalla spiaggia di Milano Marittima. Da allora, l’ex ministro dell’Interno ha dovuto fare i conti con la realtà. Lui giura che tornerà anche quest’anno nella riviera romagnola, nel locale dell’amico ed eurodeputato leghista Massimo Casanova.

Lo farà in un momento non facile per il partito. La pandemia ha eroso il consenso dei sovranisti, non solo in Italia. E anche la Lega di Salvini oggi non sembra più la forza dirompente che ha sorpreso tutti, fino al Papeete e prima del Covid-19, appunto. Poi gli ingranaggi nella macchina sovranista, fin lì perfetti, si sono inceppati.

L’autunno che attende Salvini sarà caldo. A tratti rovente. Su vari fronti: politico e giudiziario. E non sarà tanto il processo per sequestro di persona relativo alla nave Gregoretti rinviato a ottobre, causa coronavirus, a preoccuparlo: l’accusa di aver bloccato i migranti in mare è per lui una medaglia da esibire ai raduni leghisti.

A inquietarlo sono la corsa alla leadership del centrodestra, le inchieste e i processi che riguardano il Carroccio, ostaggio di vecchi fantasmi e di nuove trame finanziarie.

Per la guida della coalizione, Salvini ha un’avversaria determinata: Giorgia Meloni. Molto dipenderà dal voto delle regionali posticipate a settembre . Oltre allo scontro tra coalizioni, sarà il duello tra Lega e Fratelli d’Italia a fornire utili indicazioni per il futuro. Meloni dalla sua ha l’ottimo rapporto di fiducia instaurato con le potenti reti dei conservatori americani: è stata ospite,per esempio, il 3 marzo 2019, alla convention dell’American Conservative Union, dove è intervenuto anche Donald Trump. Salvini affidandosi al presidente russo, Vladimir Putin, ha perso credibilità a Washington. L’unico in grado di riequilibrare il rapporto con gli americani è Giancarlo Giorgetti, vice di Salvini, “demoleghista” con solide relazioni in Vaticano e negli Stati Uniti.

L’ex ministro affronterà mesi turbolenti, difficili, con una macchina della propaganda, la celebre “Bestia”, non più in forma smagliante (nonostante i costi elevati necessari a sfamarla). Attenzione però a dichiarare chiusa la parabola di Salvini. Anzi, è probabile, che la Lega continui a essere il primo partito.

L’ultimo sondaggio Swg dà il Carroccio al 26,6 per cento. Otto punti in meno del trionfale 34,3 per cento conquistato alle elezioni europee del 2019 . Un successo elettorale macchiato dal Russiagate: la trattativa segreta condotta a Mosca con uomini della cerchia di Putin per finanziare il partito con soldi russi.

La procura di Milano indaga per corruzione internazionale ormai da un anno e mezzo sul protagonista del giallo, Gianluca Savoini, l’ex portavoce di Matteo Salvini e suo consigliere ombra per le relazioni con la Federazione governata da Putin. Né Matteo Salvini né il partito hanno scaricato davvero il regista del negoziato, culminato il 18 ottobre del 2018 all’hotel Metropol di Mosca.

La trattativa segreta del Metropol ha pesato molto sul destino politico di Salvini. E’, infatti, nei mesi in cui teneva banco lo scandalo russo-leghista che il leader, forte dei risultati delle Europee, ha decretato la fine dell’esecutivo giallo-verde. “La maggioranza non c’è più”, sentenziò davanti alla ressa di cronisti accorsi al Papeete. La crisi di governo ha smorzato, fino ad annullarlo, il rumore mediatico del Russiagate.

Ma non c’è solo l’indagine in corso sulla trattativa orchestrata da Gianluca Savoini. La procura di Roma ha chiesto nei giorni scorsi il rinvio a giudizio del tesoriere del nuovo Carroccio sovranista, Giulio Centemero: per gli inquirenti, Centemero deve essere processato per finanziamento illecito. La decisione è probabile che arrivi subito dopo l’estate. L’accusa al tesoriere della Lega riguarda una maxi-donazione da 250 mila euro di Luca Parnasi, il costruttore romano coinvolto nell’indagine sul nuovo stadio della Roma che ha coinvolto anche un pezzo del Movimento 5 Stelle della capitale.

L’intrigo delle finanze leghiste si snoda attraverso altri rivoli. C’è, per esempio, l’anomalo giro di soldi che dalle casse del partito è finito ad aziende riconducibili al giro dei commercialisti bergamaschi, legatissimi al tesoriere Centemero. Una girandola di fondi milionaria descritta nelle informative dell’antiriciclaggio della Banca d’Italia. E che riconduce al peccato originale del Carroccio vecchio e nuovo: la truffa dei 49 milioni di rimborsi elettorali architettata dall’ex tesoriere Francesco Belsito e dal fondatore Umberto Bossi. Il tribunale di Genova e infine la Cassazione hanno ordinato la restituzione del malloppo. Denaro sparito dai conti del partito ben prima dell’accordo con cui la procura di Genova ha accettato la rateizzazione del debito in quasi ottant’anni.

La stessa procura di Genova che sta tentando di chiudere l’inchiesta sul riciclaggio di parte dei famosi 49 milioni.

Sono trasferimenti anomali di soldi che ritroviamo anche nella vicenda della Lombardia Film Commission: la fondazione controllata dalla regione Lombardia che ha acquistato un immobile per quasi 1 milione di euro da una fortunata immobiliare, che appena un anno prima aveva pagato lo stesso immobile 400 mila euro

Il denaro pubblico incassato da questa società privata è poi finito al giro di aziende riconducibili ai commercialisti del partito. Operazioni finanziarie, anche queste, al centro di segnalazioni dell’antiriciclaggio di Bankitalia perché ritenute sospette, indicative di una possibile distrazione di fondi pubblici. E che riguardano il Pirellone, il cuore del potere locale di Salvini.

La regione Lombardia è governata da Attilio Fontana. Prima di lui c’era Roberto Maroni, non troppo fedele alla linea nazionalista di Salvini. Uscito di scena Maroni, si sono spalancate le porte del palazzo regionale per gli uomini e le donne più fedeli a Salvini.

Il Covid-19, però, ha reso il suo percorso un pantano, soprattutto dopo le criticità emerse nella gestione della pandemia da parte della regione.

Gli errori della giunta li ha pagati, in termini di immagine, anche il leader nazionale. Non è più scontato, dunque, che la sua leadership duri all’infinito. Infatti, i guai giudiziari del partito, le difficoltà di Fontana nell’affrontare la crisi sanitaria e il calo nei sondaggi, riaprono ferite interne mai davvero cicatrizzate. Una fascia ampia di leghisti che fanno capo a Maroni e Zaia non intende mollare di un centimetro sull’autonomia e sul federalismo. Questioni tradite dalla Lega nazionalista di Salvini. E che Zaia, cresciuto nei consensi per l’ineccepibile gestione della pandemia in Veneto, potrebbe riportare al centro in un partito più nordista che sovranista.

Da “Prima gli italiani” al grande ritorno del motto padano: “Prima il Nord”.

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