Il call center per fare tracciamento dei contagi ed evitare una terza ondata non c’è. E probabilmente non continuerà a non esserci per molto tempo. Intanto: il potenziamento della rete dei contact tracer è lento, impantanato nei mille arabeschi delle sanità regionali.

Il call center

L’indicazione (e una dote da un milione di euro per il 2020 e tre per il 2021) di realizzare un call center unico per gestire positivi, contatti diretti e notifiche dalla app Immuni è arrivata già col primo decreto ristori, il 29 ottobre. Da quel momento in poi non si sia mosso più nulla. La notizia della creazione era arrivata a cinque mesi dalla pubblicazione dell’applicazione stessa e dopo innumerevoli raccomandazioni di scaricarla da parte del governo.

La realizzazione pratica del progetto è affidata al commissario straordinario per l’emergenza Domenico Arcuri che però è ancora in attesa di indicazioni: i ministeri della Salute e dell’Innovazione dovrebbero stendere insieme un piano delle attività che svolgeranno gli operatori del call center. Fino a quando non arriverà, la struttura commissariale non può iniziare a lavorare. Il nuovo call center dovrebbe coordinare tutti gli strumenti di tracciamento che oggi camminano in parallelo e spesso non si sovrappongono: per ora però non si vede all’orizzonte una data di conclusione del progetto, figurarsi per la sua realizzazione.

Eppure, il tracciamento dei contatti sarebbe uno dei punti fondamentali per evitare una terza ondata: dopo questo periodo di chiusure e zone rosse, per fronteggiare il pericolo in attesa del vaccino, servirebbe un meccanismo di tracciamento solido, quello che è mancato dopo l’estate. Altrimenti saranno state di nuovo inutili, con tutte le loro conseguenze economiche e sociali. Per capire cosa succede quando il tracciamento sfugge di mano basta guardare a quel che è successo in queste settimane: la curva dei contagi si impenna.

È chiaro che quando i numeri dei positivi esplodono, è impossibile tenere il conto di tutti i casi. Per questo è necessario intervenire il prima possibile. Anche perché non c’è da fare affidamento sulla app Immuni, anche questa lanciata dal commissario Arcuri, che deve essere attivata dall’operatore della Asl che notifica la positività del paziente Covid-19: durante la chiamata, l’operatore deve chiedere il codice univoco che identifica il cittadino all’interno dell’applicazione e “segnalarlo” come positivo. Solo a quel punto, l’applicazione invia la notifica di contatto sospetto a chi ha incrociato il paziente negli ultimi giorni. Solo che spesso la chiamata dell’Asl arriva in ritardo o non arriva proprio, così come la richiesta del codice Immuni. In questo modo, a prescindere da quanti la scaricano (ad oggi, poco meno di dieci milioni di persone) l’app è inutile.

I tracciatori

Quindi, l’unica strada che rimane solida attualmente è il tracciamento manuale. Per rafforzarlo, le regioni si sono attrezzate già negli scorsi mesi con bandi regionali. È quel che è successo anche in Calabria, dove l’ormai ex Commissario alla Sanità Saverio Cotticelli ha emanato due Decreti per potenziare l’organico. Il 24 ottobre è arrivato poi un bando nazionale della Protezione civile a integrare l’organico dei contact tracer in tutte le regioni.

Una chiamata lampo, considerato che è stato possibile presentare le candidature per appena due giorni e mezzo, fino alle 19 del 26 ottobre. L’adesione è stata amplissima: oltre 49mila domande per 2mila posti, 1.500 medici e 500 amministrativi. La Protezione civile ha poi inoltrato le rose alle regioni, che stanno provvedendo a vagliare ed eventualmente assumere i candidati. 

C’è poi la possibilità, per chi avesse denaro disponibile, di andare oltre le indicazioni della Protezione civile, che ha assegnato alle regioni il numero di posti che è possibile coprire attingendo ai fondi nazionali per l’emergenza. Insomma, chi ha messo da parte soldi a sufficienza potrebbe chiamare tutti i candidati che desidera.

Com’è accaduto in Toscana, dove sono state assunte 428 persone a fronte delle 124 previste dal piano della Protezione civile. Tuttavia, anche per inserire queste nuove leve i tempi non sono brevi: le procedure sono lunghe, bisogna vagliare la disponibilità, valutare le competenze e chiaramente effettuare un tampone prima di mettere in servizio il medico, l’infermiere o l’amministrativo. I problemi sono tanti: già l’assunzione non avviene ovunque alla stessa maniera. Infatti, se anche gli operatori risponderanno di fatto all’Asl, che ha ovunque in mano la gestione del tracciamento, saranno assunti dalla Protezione civile regionale, o, in alcuni casi, addirittura dalla Regione stessa.

Il Piemonte, per esempio, deve ancora dirimere la questione. L’alternativa è che ogni singola Asl chiami tutti i candidati idonei: le conseguenze sono tempi ultra dilatati e telefonate ripetitive. L’altro ostacolo per un’assunzione celere è legata proprio al fatto che ogni Asl è un universo a sé: infatti, molti candidati adatti a questo bando, che propone un impiego fino al 31 gennaio, sono iscritti anche ad altre chiamate simili bandite da enti locali. Il risultato è che, magari, in attesa della chiamata per il ruolo giusto nel posto giusto (e magari per un incarico più a lungo termine), i candidati rifiutino tutte le altre richieste.

La soluzione potrebbe essere assumerli tutti e poi distribuirli nelle Asl, ma non è andata ovunque così. In Puglia, ogni Asl ha fatto la sua valutazione e sono già state spedite le lettere di assunzione, con il personale che dovrebbe prendere servizio a giorni, subito dopo aver avuto l’esito del tampone. Dalla chiusura del bando sono passate due settimane.

 

© Riproduzione riservata