Il voto al Quirinale, nella storia della repubblica, è stato sempre un momento di cambiamento vero. L’inizio di una fase e fatalmente la fine di un’altra. L’ultima volta a concludersi malamente, proprio per via delle trattative per il Colle, fu il cosiddetto patto del Nazareno fra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, distrutto inaspettatamente dall’elezione di Sergio Mattarella.

Ma non era certo la prima volta che accadeva. Di fatto con l’elezione di Sandro Pertini (rilanciato alla fine da Bettino Craxi, che si infilò fra Dc e Pci) nell’estate del 1978 si avviò a conclusione l’esperienza del compromesso storico. L’elezione di Oscar Luigi Scalfaro nel 1992 seppellì il pentapartito e con esso Dc e Psi. La nomina di Carlo Azeglio Ciampi tumulò la lira e introdusse l’euro.

Volendo tornare ancora indietro nel tempo, con Giuseppe Saragat al Quirinale finì il centrismo e cominciò la fase del centro sinistra. E questa volta? Che cosa accadrà? La sensazione è che sarà un altro spartiacque vero. Se dovesse davvero essere eletto Mario Draghi, potrebbe in qualche modo cominciare a realizzarsi quella voglia di presidenzialismo che recentemente ha rilanciato Giorgia Meloni e che Ilvo Diamanti su Repubblica ha descritto come condivisa dal 74 per cento degli italiani (90 per cento fra gli elettori di centrodestra).

L’Italia metabolizzerebbe così la stagione mondiale della crisi delle democrazie parlamentari con la scelta di un uomo pragmatico, un decisionista sul Colle più alto. In questo caso l’elezione segnerebbe l’inizio di un processo di cui ha parlato anche ieri Stefano Folli sempre su Repubblica. In questo senso la battuta di Giancarlo Giorgetti sul “semi presidenzialismo di fatto” contenuta nel libro di Bruno Vespa non era poi così ingenua…

FRA LA PRIMA E LA QUARTA VOTAZIONE C’È DI MEZZO MR. B

Per una curiosa coincidenza sui giornali di oggi ci sono due previsioni (che sono anche speranze) molto diverse: Enrico Letta, segretario del Pd, dice esplicitamente al Sole24 ore che «il presidente o la presidente sarà eletto nelle prime votazioni e sarà un bene». Mentre secondo un retroscena del Corriere della Sera, nelle stesse ore Silvio Berlusconi sta convincendo gli alleati del centrodestra a non compilare la scheda alla prima, alla seconda e alla terza votazione. Bianca, bianca, bianca. Quando sarà necessario un quorum di 672 voti.

Dalla quarta il quorum si abbasserà a 505 e lì il Cav è sicuro di farcela. Dunque Meloni e Salvini potranno decidere il destino dell’anziano leader fin dal primo voto: il voto bianco, da sempre, serve per controllare la fedeltà dei grandi elettori.

C’è un rischio: mettere il centrodestra sull’Aventino del voto bianco nelle prime tre votazioni (ha solo 451 voti sulla carta), potrebbe far emergere una per ora inaspettata convergenza di tutti gli altri su un altro candidato o candidata oltre i 505, ammesso che i vari Calenda, Renzi, ex 5 stelle vari ci stiano. Quel candidato diventerebbe in quel caso presidente alla quarta votazione.

QUANTI GRANDI ELETTORI HA IL PAPA?

Oggi Sergio Mattarella compie una visita a cui tiene moltissimo. È il commiato da papa Francesco: appuntamento in Vaticano in quell’appartamento alla terza Loggia del palazzo apostolico, che Bergoglio usa ancora per i ricevimenti ufficiali e in cui ha rifiutato di vivere dall’inizio del suo pontificato.

Come spiega qui su Domani Marco Grieco, è anche l’occasione per la Chiesa di esprimere tutto l’appoggio verso un presidente con cui le convergenze sono state tante. Dall’attenzione agli immigrati a quella per i disabili e per il volontariato sociale, spesso scaturito da opere di carità. Ma, parafrasando Stalin a Yalta, viene da chiedersi: quanti grandi elettori ha il papa? Comunque c’è da scommettere che, se potesse, Bergoglio voterebbe anche lui per il bis.

© Riproduzione riservata