Il procedimento disciplinare al Csm nei confronti di Luca Palamara sta arrivando alle battute finali. Lunedì si è svolto l’esame del magistrato romano: un difficile corpo a corpo tra lui e l’avvocato generale Piero Gaeta, che si concluderà la settimana prossima all’esito dell’udienza di oggi, in cui viene affrontato il nodo dell’utilizzabilità delle intercettazioni ottenute con il virus spia Trojan. Il merito di un’accusa circoscritta – durante il dopocena all’hotel Chiampagne con alcuni togati del Csm e i deputati Luca Lotti e Cosimo Ferri, Palamara è accusato di aver violato i doveri di correttezza nei confronti dei colleghi e di aver tentato di condizionare le nomine del Csm – rischia venire depotenziata ad errori tecnici di conduzione dell’indagine.

La difesa, infatti, ha depositato ieri una perizia di parte in cui si sollevano dubbi sulla correttezza nella conservazione delle intercettazioni: il codice di procedura penale prevede che le intercettazioni ricavate dal Trojan debbano venire conservate in un server presso gli uffici giudiziari che conducono l’indagine oppure server localizzati presso altri uffici, in caso di eccezionali ragioni. Nel caso Palamara, l’utilizzo degli uffici di Roma e non quelli di Perugia (che è la procura competente per i procedimenti a carico dei magistrati romani) si giustifica con il fatto che l’operazione di indagine avveniva nella Capitale. La difesa, tuttavia, ha messo in luce un’altra possibile irregolarità: «Nella relazione depositata dall’ingegnere che si è occupato delle intercettazioni, però, c’è una curiosa rappresentazione grafica del funzionamento del captatore informatico», ha detto Stefano Giaime Guizzi, difensore di Palamara. La rappresentazione grafica curiosa sarebbe una nuvoletta, accanto al server della procura di Roma. «Il nostro perito di parte solleva il dubbio che il server della procura di Roma sia solo un client, e che quindi le captazioni non siano confluite direttamente dal cellulare al server della procura, ma siano invece state conservate in un altro server che si trova in un luogo ignoto», ha spiegato Guizzi. Ad avvalorare la tesi, ci sarebbe anche il fatto che l’attivazione del captatore sul cellulare di Palamara non avvenisse direttamente attraverso la sala tecnica della procura di Roma, ma attraverso un invio di sms. La questione è tecnicamente complessa, ma il cavillo normativo è chiaro: il codice prevede che le intercettazioni dei Trojan confluiscano in un server che si trova presso un ufficio giudiziario, mentre nel caso di Palamara tutto il materiale sarebbe localizzato altrove, in un server di cui non si conosce l’indirizzo, facendo sorgere un problema di garanzie di correttezza della conservazione.

L’appiglio è tutto di natura tecnica, ma è stato sfruttato dalla difesa: nell’udienza di lunedì, infatti, Palamara ha risposto solo alle domande dell’accusa che chiedevano conto di quanto era stato ascoltato con le intercettazioni ordinarie. Invece, si è rifiutato di rispondere alle contestazioni che riguardavano informazioni acquisite con le captazioni del Trojan: vale a dire tutte le conversazioni che si sono svolte nel dopocena all’hotel Champagne, in cui si sarebbe concretamente discusso di chi nominare alla procura di Roma dopo il pensionamento di Giuseppe Pignatone. «A questa domanda non avrò difficoltà a rispondere, quando verrà sciolto il nodo dell’utilizzabilità delle captazioni», ha ripetuto più volte Palamara durante l’esame, nel quale ha però escluso l’esistenza di accordi con Luca Lotti e sostenuto che la sua presenza all’incontro all’hotel Champagne fosse stata fortuita. «In tutte le sedi e da mesi non si parlava d’altro che del successore di Pignatone», ha detto Palamara, escludendo che il dopocena in hotel fosse una riunione organizzata appositamente per decidere la nomina.

Le domande circostanziate potranno essere riproposte a Palamara, probabilmente all’udienza del 2 ottobre, ma solo quando la sezione disciplinare si sarà espressa sul punto tecnico: per questo oggi verrà riascoltato il dirigente che ha svolto le intercettazioni. Nel caso in cui i dati acquisiti con il virus spia venissero considerati inammissibili, dunque, all’accusa verrebbero a mancare delle prove fondamentali per argomentare la colpevolezza di Palamara.

Ecco, quindi, il nuovo cortocircuito intorno al procedimento disciplinare: potrebbero essere stralciate le stesse prove che, pubblicate sui giornali molti mesi fa, hanno avuto un ruolo fondamentale nel far luce sul cosiddetto “sistema Palamara” di spartizione delle nomine per la scelta dei capi degli uffici giudiziari. Le conversazioni che sono state la dimostrazione concreta e inoppugnabile della deriva correntizia e clientelare della magistratura rischiano di non poter essere utilizzate per un errore nello svolgimento delle indagini da parte della procura. Intanto, il calendario d’udienza ha subito una ulteriore accelerazione e l’8 ottobre è fissata la seduta conclusiva durante la quale verrà letta la sentenza.

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