Il collegio disciplinare del Consiglio superiore della magistratura ha deciso: le intercettazioni ottenute con il Trojan sono «pienamente utilizzabili» nel procedimento disciplinare a carico del magistrato Luca Palamara. Si è conclusa così la fase di discussione e l’8 ottobre si terrà l’udienza in cui la procura generale e la difesa di Palamara esporranno le loro conclusioni. In questa sede, Palamara ha fatto sapere che interverrà per rendere dichiarazioni spontanee.

L’udienza di ieri, 2 ottobre, che pure è durata solo un paio di minuti – il tempo di leggere il dispositivo che dichiarava utilizzabili le captazioni – ha avuto un piccolo colpo di scena. Nella scorsa udienza, infatti, Palamara aveva rifiutato di rispondere alle domande dell’avvocato generale Piero Gaeta sul dopocena del 9 maggio all’hotel Champagne di Roma in cui si sarebbe deciso come pilotare la nomina del nuovo procuratore capo della Capitale, nella parte in cui riguardavano quanto captato dai Trojan. Aveva però assicurato che non avrebbe «avuto difficoltà a rispondere quando verrà sciolto il nodo dell’utilizzabilità delle captazioni». Un nodo che, per il collegio disciplinare, ieri sarebbe stato sciolto in favore dell’utilizzabilità.

La procura ha chiesto di ascoltare nuovamente Palamara sulle questioni alle quali si era rifiutato di rispondere, ma il magistrato romano ha rifiutato di nuovo di rispondere alle domande di Gaeta.

La difesa non molla

La difesa, infatti, ha intenzione di insistere sull’inutilizzabilità delle captazioni del Trojan e ha annunciato l’impugnazione dell’ordinanza. La ragione si intreccia in modo stretto con la posizione di Cosimo Ferri, il deputato di Italia viva e magistrato, a sua volta sotto procedimento disciplinare davanti al Csm.

Ferri era tra gli invitati al dopocena all’Hotel Champagne insieme a Palamara, Luca Lotti e cinque ex togati del Csm e anche il suo procedimento si fonda sulle intercettazioni ottenute con la microspia inserita nel cellulare di Palamara. Però, siccome Ferri è un deputato in carica, la captazione delle sue intercettazioni è sottoposta a un regime particolare.

Nel dettaglio: un parlamentare non può essere intenzionalmente intercettato senza l’assenso della sua camera di appartenenza. «Riteniamo che sul carattere casuale o meno della captazione dovesse pronunciarsi, per tutti, preliminarmente la Camera e infatti la procura, per la posizione di Ferri, l’ha interpellata. Se, in ipotesi, la Camera negasse l’autorizzazione ad utilizzare, per Ferri, tali intercettazioni, ritenendole non casuali, il Csm o la procura generale dovrebbero proporre conflitto di attribuzione innanzi alla Corte costituzionale», spiega il difensore di Palamara, Stefano Giaime Guizzi.

Nel caso in cui la Corte affermasse che le intercettazioni non sono casuali e quindi neppure utilizzabili, Palamara – che nel frattempo potrebbe essere stato condannato – potrebbe proporre istanza per la revisione del giudizio di condanna. Quindi secondo la difesa, la questione dell’inutilizzabilità non sarebbe ancora del tutto chiusa. Per questo ha mantenuto la strategia iniziale: non far parlare Palamara sui fatti dell’hotel Champagne.

Nonostante questo, la fase dell’acquisizione delle prove si è di fatto conclusa. Ora tocca ad accusa e difesa ricostruire i fatti, nei loro interventi conclusivi. L’accusa sosterrà che Palamara abbia violato i suoi doveri di correttezza e abbia abusato della propria posizione per condizionare l’attività del Csm: contestazioni che si basano totalmente sulle intercettazioni. Per questo la difesa ha puntato tutto sullo scardinamento della prova regina.

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