Se Sparta piange, Atene non ride. Giovedì gli eletti nella diciannovesima legislatura si riuniranno per la prima volta a Montecitorio e a palazzo Madama. Alla vigilia, la maggioranza non ha ancora chiuso l’accordo sulle presidenze delle camere. Se ne parlerà, forse, venerdì prossimo. Ma anche le minoranze arrivano in aula in ordine sparso. 

Calenda: no al Conte dei no

Carlo Calenda chiarisce che i rapporti della sua federazione repubblicana – Azione e Italia viva – saranno poco affettuosi con i colleghi dell’opposizione. Lo fa capire a Roma, al Festival delle città di Ali, le Autonomie locali italiane, mentre parla dal palco sulle future elezioni regionali in Lazio, Lombardia, Molise e Friuli-Venezia Giulia: «Non andremo con i Cinque stelle perché non riusciremmo a far niente con i Cinque stelle, soprattutto nella versione di Conte, che è quella del no a tutto».

L’esempio che usa è una stoccata pesantissima al Pd: «A Roma c’è un sindaco», dice intendendo Roberto Gualtieri –  ma poi apre una parentesi e dice che Roma «fa schifo più di prima» –  insomma «c’è un sindaco che si sta battendo per fare un termovalorizzatore. Questa cosa non la può fare con i Cinque Stelle. A un certo punto questa cosa ve la dovrete fare uscire di bocca».

In concreto per la verità la questione è già dietro le spalle: Gualtieri ha già ottenuto i poteri da commissario straordinario per la costruzione dell’inceneritore, la regione sarebbe toccata appena di striscio dalla vicenda. Ma la conclusione di Calenda è tranchant: «Se non si fanno le alleanze sulle cose da fare, le persone non ci votano più perché pensano che siamo un branco di matti».

Per Calenda questo vale tanto più «con i Cinque stelle versione Conte, che è “no a tutto”, anche al termovalorizzatore a Roma». E se in realtà in regione Lazio, con la giunta Zingaretti, attualmente Azione e M5s governano felicemente insieme è solo perché «i Cinque Stelle sono entrati dopo Azione nella giunta e siamo rimasti lì con loro, ma è l'unico posto dove questo è accaduto».

Il vero congresso

La maggioranza di destra dunque avrà poco da temere dalle opposizioni sparse e non coordinate. Lo stesso Calenda ha annunciato che giovedì sarà al sit in sotto l’ambasciata russa insieme al Pd. I Cinque stelle invece non ci andranno, e parteciperanno invece alla manifestazione nazionale dei disarmisti in programma per metà novembre.

Nel pomeriggio, alle 17, si riuniscono i deputati del Pd, il gruppo più numeroso della minoranza. Il ministro Andrea Orlando propone un patto di collaborazione fra opposizioni, anche se i primi a crederci dovrebbero essere i suoi compagni di partito: «Il vero congresso si compie adesso, definendo la piattaforma dell’opposizione», spiega su Facebook. «E questo avverrà nel fuoco della lotta politica e sociale, e sarà un’occasione per definire la nostra identità alla luce dei conflitti che sono destinati a svilupparsi. Conflitti nuovi e vecchi, ai quali non si risponde né con rimozioni, né con vecchie formule».

Va detto che all’indomani del voto anche il segretario Letta ha provato a lanciare un “patto per le opposizioni”. La risposta di Calenda era stata ai limiti del sarcasmo: «Il Pd è un partito con cui interloquire è molto complicato. Primo perché Letta non interloquisce. Non so con chi voglia farlo, anche perché Conte non vuole parlare con lui. Ma di questo passo andranno alle regionali con Fratoianni».

La sindrome dell’autosufficienza

E così alle prossime regionali il rischio delle corse solitarie è ogni giorno più forte. A Roma il Pd ha dato mandato al segretario regionale Bruno Astorre di «lavorare per la prosecuzione del modello Lazio». Ufficialmente Azione e Italia viva non hanno ancora chiuso, ma le premesse non sono promettenti. Anzi, fonti di Azione lasciano filtrare che nel caso in cui il Pd dovesse stringere un accordo con i grillini, lancerebbe un proprio candidato, «di area democratica», e cioè in grado di dare fastidio voti più a sinistra che a destra. 

Ma a sinistra l’accordo fra Pd e Cinque stelle è tutt’altro che scontato. Se un’intesa per la prosecuzione del «modello» giallorosso varato da Nicola Zingaretti a livello regionale è più che auspicato, è dal centro che restano i veti. Giuseppe Conte ha più volte ribadito che non si siederà più a un tavolo con Enrico Letta; che pur essendo segretario Pd in uscita, resta alla guida del Nazareno. 

È in corso il lavorìo dei pontieri, che dovrebbe concretizzarsi con alcuni incontri entro questa settimana. «Bisogna fino alla fine provare a ricostruire il campo largo democratico e progressista», secondo Massimiliano Smeriglio, già vice di Zingaretti nel Lazio ed oggi europarlamentare indipendente e ultrà dell’alleanza giallorossa. 

«Abbiamo governato insieme, stiamo governando insieme nonostante la rottura a livello nazionale. Sappiamo che la strada è complicata, ma serve lo sforzo di tutti per non regalare anche la regione a Giorgia Meloni, dopo il governo». I numeri non lasciano spazio alla fantasia: alle ultime politiche qui le destre hanno preso oltre il 44 per cento, il centrosinistra il 26 (Pd, rossoverdi e +Europa), i Cinque stelle quasi il 15 per cento e Azione-Italia viva l’8,5. L’asse giallorosso da solo sarebbe competitivo, con i centristi sarebbe vincente senza troppi patemi d’animo. Ma, come spiega Calenda, non c’è da sperare in un’alleanza così larga.

Lombardia, destre inutilmente divise

Diversi i numeri della Lombardia. Alle politiche le destre hanno totalizzato oltre il 50 per cento, il centrosinistra il 27, la federazione di Calenda il 10 e i Cinque stelle il 7 per cento. Qui dunque i grillini “pesano” meno. Soprattutto nell’ipotesi, sempre più concreta, di due candidati a destra: da settimane va avanti lo scontro all’arma bianca fra il presidente leghista Attilio Fontana e la sua vice Letizia Moratti, favorita di Giorgia Meloni e pronta a giocarsela anche da outsider.

Nel weekend il Pd ha lanciato una mobilitazione nelle piazze: alle politiche «nNon siamo riusciti a farci capire», spiega il segretario regionale Vinicio Peluffo, «ma la strada da seguire è quella di costruire l’opposizione: siamo una forza democratica che agirà sempre contro le derive sovraniste e populiste. Per questo in questi mesi abbiamo lavorato, e continueremo a farlo, su alleanze che portino alla nascita di una coalizione che nel 2023 cambi finalmente l’amministrazione regionale». Anche se al momento è buio pesto sui possibili candidati. 

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