Matteo Salvini ha sempre difeso i due commercialisti della Lega condannati in primo grado nel processo Lombardia film commission. Nel difenderli ha comunque escluso che quella storia potesse sfiorare il partito. Ora però dai nuovi documenti ottenuti da Domani la difesa del leader scricchiola. Perché i verbali di interrogatorio di un professionista in affari con i due commercialisti e con il partito rivelano che all’interno della Lega qualcuno sapeva, perché sotto osservazione sono finite anche alcune fatture false pagate dagli uomini legati al partito.

Nei verbali c’è anche il ruolo di Giulio Centemero, il deputato e tesoriere della Lega, centrale nel costruire l’arcipelago societario intorno al nuovo partito di Matteo Salvini. E tutta una serie di fatture dall’importo molto elevato, con intestazioni o causali false, o senza movimentazione di denaro. Seguono queste direttrici le domande dei magistrati milanesi che indagano sulle finanze leghiste a Michele Scillieri, il commercialista vicino al partito di Salvini. Nei verbali ottenuti, viene ricostruita la storia - anche finanziaria - della nascita della nuova Lega del Capitano. Una storia di opacità sistemiche nella gestione delle finanze del partito, e «decisa dai vertici».

L’avallo di Centemero

Non poteva esserci un’operazione che coinvolgesse la Lega che non avesse il via libera di Giulio Centemero. Nel suo racconto ai magistrati milanesi Eugenio Fusco e Stefano Ciavardi, Michele Scillieri lo specifica in modo chiaro.

Scillieri è il commercialista nel cui studio è stata registrata la nuova Lega per Salvini premier: una «good company», dice, rispetto alla «bad company», la vecchia Lega Nord, sui cui conti gravavano i rimborsi allo stato per 49 milioni di euro per la truffa sui rimborsi elettorali commessa da Bossi e Belsito.


Scillieri racconta ai pm di come Alberto Manzoni e Andrea Di Rubba gli dicessero di utilizzare la Lega «come un bancomat», avendo in mano «le chiavi dei conti del partito». Nel ripercorrere però le storie e gli intrecci di fatture e affari in comune con gli altri due commercialisti, ammette che era necessario «l’avallo, il consenso» del deputato e uomo dei soldi del Carroccio Centemero per chiudere ogni affare: «Che io sappia Lega Nord era gestita finanziariamente da un tesoriere, che era Centemero, se non ricordo male, quindi...». Il tesoriere è socio dei due commercialisti condannati in uno studio di Bergamo che in meno di un anno (tra il 2019 e il 2020) ha ricevuto dal partito all’incirca mezzo milione di euro. Tutte fatture emesse dallo studio di cui è azionista Centemero assieme a Di Rubba e Manzoni e pagate dalla Lega.

Le fatture false

Nel corso degli interrogatori, i magistrati Fusco e Ciavardi chiedono conto a Scillieri di tutta una serie di fatture, con causali sbagliate. Il sospetto è che siano false fatturazioni, senza movimentazione di denaro, che siano pagamenti di favori o prestazioni occulte.

Come la fattura di 60mila euro emessa da Scillieri nei confronti della Lega Nord il 19 giugno del 2018: i pm si chiedono se fosse il «prezzo per la domiciliazione della Lega per Salvini Premier» nel suo studio di via Angelo Maj di Bergamo. Scillieri risponde che «no, la fattura trova la sua causale nei conteggi fatti assieme a Di Rubba a seguito di ulteriori soldi richiesti da Barachetti». Il riferimento è a Francesco Barachetti, imprenditore a processo per una parte dei soldi che ha ricevuto dopo la vendita dell’immobile della Lombardia Film Commission di Cormano, acquistato dalla fondazione con soldi pubblici al doppio del valore reale. Torna anche qui il riferimento al tesoriere di Salvini: «Preciso che per avere i soldi da Lega Nord, Di Rubba mi disse che ne doveva parlare con Centemero, che evidentemente ha dato il suo assenso». La questione però è che si tratterebbe di una fattura falsa pagata dal partito, avallata da chi?, si chiedono i magistrati, che stanno cercando di rispondere a queste domande con ulteriori verifiche.

L’auto comprata con i soldi di Pontidafin

Tra le fatture di Scillieri su cui Fusco e Ciavardi insistono ce n’è anche una di 17mila euro del 5 ottobre 2017, emessa a Pontida Fin, la finanziaria della Lega Nord. «Di Rubba poteva disporre direttamente dei conti di Pontida Fin», spiega il commercialista, «ma non poteva non coinvolgere Centemero, movimentando i conti della Lega».

I 17mila euro sono il costo di una Audi Q5 di proprietà di Scillieri, che vende alla moglie di Manzoni. «Convenimmo (con Di Rubba, ndr) anche sulla fatturazione ad una società differente da quella che avrebbe acquistato il mezzo, sotto forma di consulenza, senza che Di Rubba mi anticipasse esattamente quale specifica società avrebbe ricevuto la mia fattura». Solo poco prima della consegna dell’auto, «Di Rubba mi disse che avrei fatturato alla Pontida Fin srl». In realtà l’auto è stata venduta a una società, NSA, che gestisce il commercio e il noleggio di auto, sempre riconducibile al commercialista Di Rubba e beneficiaria in pochi anni quasi un milione di euro dalla galassia Lega: «Immagino che avranno giustificato in qualche modo l’uscita di 17mila euro, che avranno preso una destinazione differente rispetto a quella effettiva. Dal canto mio il danaro l’ho ricevuto da Pontida Fin». Anche in questo caso si tratta di una fattura fasulla saldata non dai due commercialisti ma da una società controllata direttamente dalla Lega Nord. Di nuovo, dunque, sospetti sui soldi che escono dal partito con giustificazioni taroccate.

Centemero e la consegna dell’Audi

La trattativa per la compravendita dell’auto avviene nell’estate del 2017. Il costo, elevato per una macchina di qualche anno, insospettisce i magistrati. Così come la data di consegna, che è a ottobre. Quel giorno tra l’altro Scillieri riceve in cambio una Volvo dalla NSA, in comodato d’uso per alcuni mesi, non in cambio della sua Audi. Quella Volvo tra l’altro era l’auto su cui viaggiava il leader leghista Salvini quando era stato aggredito in un campo rom, nel novembre del 2014 a Bologna.

L’acquisto dell’auto di Scillieri però desta qualche dubbio ai pm. La consegna avviene infatti il mese dopo il sequestro di Genova del patrimonio della Lega Nord e qualche giorno prima della domiciliazione della Lega per Salvini Premier nello studio del commercialista. Il giorno della consegna, infatti, oltre a Manzoni, sono presenti anche Di Rubba e Centemero, ricorda Scillieri. I pm cercano di capire cosa c’entrasse il tesoriere della Lega in quella operazione: «Quello non lo so», la risposta del commercialista.

Le retrocessioni al partito

Oltre che le fatture false, nei verbali si parla anche del sistema di retrocessione di una percentuale fissa, tra il 5 e il 15 per cento delle commesse ottenute grazie alla Lega, da far tornare al partito. Una prassi vissuta «in prima persona» da Michele Scillieri, come racconta ai magistrati milanesi nei verbali dei suoi interrogatori. Lui stesso ha contribuito, viene nominato consulente della Lombardia Film Commission nel 2016 quando Di Rubba era presidente in quota Lega: per il suo ruolo nell’acquisto dell’immobile di Cormano per 800mila euro (il doppio del suo valore reale), insieme ai due commercialisti della Lega Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni nominati dal tesoriere Giulio Centemero, Scillieri ha patteggiato una pena di 3 anni e 4 mesi. Di Rubba è stato invece condannato in primo grado a 5 anni di carcere, Manzoni a 4 anni e 4 mesi.

Ma c’è anche un’altra occasione, nel 2018, in cui è lo stesso Manzoni a spiegargli come funziona il sistema che permette di far entrare soldi freschi nelle casse del partito di Matteo Salvini. «Un mio cliente mi aveva chiesto la possibilità di allacciare rapporti con la Lega. Mi incontro quindi con Manzoni, in fondo a via Bellerio. Lui era a un pranzo di lavoro con esponenti della Lega. Rimaniamo nella mia macchina. Manzoni è stato esplicito: non potevano dare incarichi a persone sconosciute che non avrebbero garantito la retrocessione».

Nelle parole di Scillieri emerge come il partito dia incarichi solo a persone di fiducia, con la certezza, o meglio obbligo, che si sdebiteranno con il partito: «Mi diede conferma che gli incarichi attribuiti tramite il partito vedevano sistematicamente la restituzione di una parte degli emolumenti. La percentuale dal 5 per cento al 15 per cento variava sia in relazione alla persona sia al tipo di incarico». Per Salvini però il partito non c’entra.

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