Il modello elettorale delle regioni in salsa nazionale, preferenze sì, ma non troppo, soglia di sbarramento al 5 per cento, forse al 3 ma chissà se non al 2 per non scontentare i piccoli partiti. Il tutto nel solito ping pong di modelli, tedesco, spagnolo, o tutto made in Italy. Non Italicum, chiaramente.

La destra non ha una proposta sulla legge elettorale, ma si dimena molto sul tema. Esistono solo idee allo stato gassoso, utili più che altro ad agitare le acque: cambiare l’attuale sistema, il Rosatellum. Perché Giorgia Meloni ha chiesto lo scalpo di questo meccanismo.

Per ora l’unico atto concreto è il disegno di legge al Senato per limitare il ricorso al ballottaggio, un incubo a destra. Se passasse basterebbe il 40 per cento per eleggere un sindaco.

L’alfiere della battaglia è il capogruppo al Senato di Forza Italia, Maurizio Gasparri, seguito a testuggine dai colleghi della maggioranza. Sebbene la vicenda riguardi i comuni, nei conversari tra Camera e Senato, la modifica viene vista come un grimaldello per scardinare il fortino del Rosatellum.

La soglia del 40 per cento è la quota magica gettata nella mischia per indicare un ipotetico il premio di maggioranza. E pazienza se l’angolo c’è il rischio di ricorso alla Corte costituzionale.

Preferenze non preferite

Durante il premier time al Senato, Meloni si è sbilanciata su un punto, rispondendo alle domande di Matteo Renzi: «Confermo di essere favorevole all’introduzione nella legge elettorale», ha scandito la premier.

I senatori di Lega e Forza Italia hanno dovuto fingere bene per non disegnare smorfie di disappunto sui loro volti. Non vogliono seguire Fratelli d’Italia sull’accidentato cammino delle preferenze, che in un parlamento di nominati, fanno venire l’orticaria.

Maurizio Gasparri, il fido scudiero di Antonio Tajani sulla materia, ha messo qualche paletto in un’intervista al Sole 24 Ore. Preferenze? Meglio «piccole liste con tre o quattro nomi riconoscibili o capilista bloccati», ha detto. Cambiare tutto per cambiare il meno possibile.

Le liste piccole esistono già nel Rosatellum. L’ostilità alle preferenze ha motivi ben noti e radicati.

I segretari perderebbero potere nella composizione delle liste e allo stesso tempo molti degli attuali eletti si troverebbero a dover affrontare un’esperienza mai vissuta prima: la ricerca dei voti.

Renzi ha piantato una mina nel bel mezzo del dibattito. Costringere la presidente del Consiglio a prendere una posizione. Se in futuro non dovesse mantenere la parola, il leader di Italia viva avrebbe praterie per sferrare altri attacchi.

Intanto la presidente del Consiglio manifesta impazienza sul Rosatellum, tanto da volerlo cambiare anche prima del premierato.

«Meloni vuole cambiare la legge elettorale perché ha paura», è l’analisi di Renzi. «Ha capito che la proposta di Franceschini, di marciare separati e colpire compatti, con il Rosatellum farebbe perdere la destra», sostiene l’ex premier.

Ma il problema interno alla maggioranza non c’è solo quando si parla di preferenze: è la riforma elettorale che non convince. Matteo Salvini non vuole portare la Lega su una posizione ancora più subalterna a Fratelli d’Italia. La quota (un terzo) di collegi uninominali, presente nel Rosatellum, garantisce un bottino di seggi aggiuntivi a cui il segretario leghista non vuole rinunciare.

La partita è affidato a un esperto come il ministro Roberto Calderoli. E poi c’è il tema della soglia di sbarramento. Noi Moderati chiede un occhio di riguardo, avendo sempre fatto da sponda a Meloni, mentre l’Udc vanta una corsia preferenziale di dialogo con la Lega. E chiede garanzie.

Odiato ballottaggio

Nel frattempo la maggioranza prova a mettere insieme i pezzi variegati del mosaico, l’offensiva contro il ballottaggio alle comunali è l’unico punto di convergenza. È stato ripreso l’emendamento presentato al decreto Elezioni e trasformato in un ddl al Senato. Il blitz era stato fermato dopo le proteste delle opposizioni e soprattutto grazie alla moral suasion del Quirinale.

Lo strumento è cambiato, sicuramente meno diretto, ma l’intenzione non si è spostata di un millimetro: al primo turno delle amministrative la coalizione che supera il 40 per cento elegge il sindaco senza passare dal ballottaggio.

Sul disegno di legge depositato al Senato ci sono le firme dei capigruppo di maggioranza. Il testo è stato incardinato in commissione Affari costituzionali a palazzo Madama, i gruppi hanno potuto indicare chi convocare per le audizioni.

È tutto alle prime battute. «Ma si vuole procedere spediti», è il discorso più in voga. La convinzione nella maggioranza è che con questa riforma il campo largo possa limitare le rimonte ai ballottaggi.

L’effetto boomerang non è escluso: «Così si facilitano la nascita di coalizioni». Laddove non arriva la politica, può arrivare una modifica alla legge elettorale.

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