Il leghista Rossano Sasso incardina alla Camera il disegno di legge Valditara che sposta l’autorità educativa dalle scuole alle famiglie. Nel testo s’impone il consenso scritto per ogni attività su sessualità e affettività, rafforzando il potere di veto genitoriale. «Manca solo il giuramento balilla», attacca Monica Pasquino, presidente di Educare alle differenze. E la scuola pubblica si prepara alla resistenza
Ha fatto quello che si fa quando si ha poco da dire e molto da nascondere, commentano i deputati di opposizione che martedì, in Commissione Cultura, hanno assistito alla posa dell’onorevole Rossano Sasso, ex sottosegretario leghista all’Istruzione, punto di riferimento del mondo complottista. Mani sui fianchi, il deputato pugliese si è infatti limitato a dare «per letta la relazione».
Incaricato come relatore del disegno di legge del ministro Giuseppe Valditara sul “consenso informato” scolastico, che agita scuole e associazioni impegnate nella lotta alla violenza di genere e al bullismo omotransfobico, Sasso ha scelto di non dire una parola. Nessuna esposizione, nessun commento, nessuna difesa d’ufficio. Una consegna silenziosa, un documento agli atti. Una mossa da manuale per prendere tempo, lasciare sedimentare, evitare polemiche spiegano i parlamentari del Carroccio.
Tre articoli
Il testo che Domani ha potuto analizzare è denso nella sua relazione (tredici pagine) e snello nell’articolato (soltanto tre). E punta a introdurre l’obbligo di autorizzazione preventiva dei genitori su attività didattiche che includano l’educazione affettiva, sessuale, o i temi del contrasto alle discriminazioni.
L’articolo 1 introduce un meccanismo apparentemente innocuo: prima di qualunque attività scolastica (curricolare o extracurricolare) che tocchi «tematiche della sessualità», le scuole dovranno ottenere il consenso scritto delle famiglie o degli studenti, se maggiorenni. La scuola dovrà fornire materiale, spiegare dettagliatamente contenuti, finalità, modalità, nomi di eventuali esperti o associazioni coinvolte. Il tutto almeno sette giorni prima. Non un giorno in meno.
Ma chi conosce la scuola sa bene cosa significa: tempo, burocrazia, rischi. Il rischio che per paura di non ottenere tutti i moduli firmati, o di ricevere proteste da una minoranza rumorosa di genitori, si preferisca non proporre nulla. Non parlare di educazione affettiva, di orientamento sessuale, di consenso, di stereotipi di genere. Meglio il silenzio, appunto. Non censura, dicono dal Pd ma «autocensura. Più sottile, più efficace».
Il comma 4 poi è ancora più netto: nella scuola dell’infanzia e nella primaria, l’educazione alla sessualità è vietata in ogni forma, eccetto quanto già previsto dalle Indicazioni nazionali. Nessun progetto, nessuna attività, nessuna parola che possa essere letta come “ideologica”. Il messaggio è chiaro: sui temi dell’intimità, dell’identità, del corpo, la scuola si faccia da parte.
L’articolo 2 completa l’opera. Per far entrare un esperto o una associazione in classe servirà il via libera del collegio docenti e del consiglio d’istituto. Il collegio dovrà stabilire dei criteri oggettivi: titoli, esperienza, adeguatezza all’età degli studenti. Apparentemente è buon senso. In realtà è un filtro. Un modo per dire chi può parlare e chi no. Un modo per escludere – senza nominarli – i centri antiviolenza, Arcigay, Agedo, le associazioni femministe e Lgbtq.
Non ci sono costi, recita l’articolo 3, la clausola di invarianza finanziaria, perché tanto a pagare saranno le scuole, con il proprio tempo.
Decidono i genitori
Educare diventa così un terreno minato, come se l’unico sapere legittimo fosse quello genitoriale, spiega Monica Pasquino, presidente di Educare alle differenze, una rete nazionale che raccoglie decine di associazioni impegnate sul tema dell'affettività nelle scuole: «Una scuola ideologica, confessionale, fondata sulla censura e il divieto all'interno di un progetto che vuole scardinare quanto sancito nell'articolo 34 della nostra Costituzione. Ancora una volta la destra va all'assalto della scuola pubblica e laica e plurale frutto di decenni di lotte nel nostro paese. Da un lato si prova a limitare la libertà di insegnamento e dall'altro si provano a introdurre veri e priori dogmi confessionali per cui l'educazione sentimentale non può essere insegnata nelle scuole, tutto ovviamente condito dallo spauracchio dell’ideologia gender». E aggiunge Pasquino: «Si propone anche una valutazione che altro non è che censura preventiva sul materiale didattico utilizzato e sui contributi esterni: manca solo il giuramento di memoria balilla e il piatto è servito».
Il mondo della scuola è in agitazione racconta: «In questi mesi il mondo della scuola, le comunità educanti sono insorte contro questi provvedimenti con incontri assemblee proteste che hanno dimostrato ancora una volta che esistono degli anticorpi potenti contro questo nuovo affondo del governo Meloni che rientra dentro una vera e propria militarizzazione della scuola basata sul credere, obbedire e combattere per cui ogni diversità va cancellata».
Sul piede di guerra anche le opposizioni che il 18 giugno in ufficio di presidenza chiederanno audizioni per smontare con gli esperti pezzo dopo pezzo il provvedimento. Poi arriveranno gli emendamenti e da lì si misureranno le reali intenzioni della maggioranza e le resistenze delle opposizioni.
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