Oggi sarà la giornata di un nuovo match al Senato, in commissione Giustizia, sulla legge Zan contro l’omotransfobia. Pur di frenare il cammino del testo, già approvato alla Camera e in attesa del sì definitivo di palazzo Madama, il presidente leghista Andrea Ostellari ha chiesto di abbinare la discussione a quella sugli altri quattro testi depositati sullo stesso argomento. Per farlo era necessaria una firma della presidente dell’assemblea Maria Elisabetta Casellati. Ostellari ha inoltrato la richiesta lo scorso 7 aprile, la presidenza ha firmato il 13. Un tecnicismo in base all’art. 51 del regolamento che ha fatto guadagnare al leghista un’altra quindicina di giorni.

E siamo arrivati a oggi pomeriggio. All’ufficio di presidenza della commissione M5s, Pd, Leu e Iv torneranno a chiedere la calendarizzazione della discussione e l’indicazione di un relatore. Se non trova un altro cavillo, Ostellari dovrà arrendersi al fatto che in quell’organismo ristretto non c’è unanimità. E dovrà rimettersi al voto della commissione dove gli ex giallorossi hanno la maggioranza. «Passo dopo passo, andiamo avanti», sospira con pazienza il senatore Franco Mirabelli, capogruppo Pd in commissione Giustizia.

Appelli opposti

Intanto però sulla legge piove il fuoco amico. Dal mondo dei femminismi si fanno avanti voci critiche sul testo, prontamente rilanciate dai media vicini alle destre, entusiasti dell’insperato aiutino contro una legge che secondo i sondaggi ha dalla sua la maggioranza del paese. Il conflitto si consuma a colpi di appelli contrapposti. Da una parte un elenco sterminato di femministe storiche e intellettuali pro Zan (fra le tantissime altre, Maria Luisa Boccia, Susanna Camusso, Maura Cossutta, Giorgia Serughetti, Bianca Pomeranzi, Lisa Canitano, Michela Marzano, Lea Melandri, Lidia Ravera, Laura Onofri). Dall’altra chi chiede invece la modifica della legge (fra gli altri Aurelio Mancuso, Alessandra Bocchetti, Vittoria Tola, Giovanna Martelli, Andrea Catizone, Francesca Izzo, Cristina Comencini).

Oggetto del contendere alcune delle definizioni contenute nelle «misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità», considerata «una proposta pasticciata, incerta sul tema della libertà d’espressione, offensiva perché introduce l’“identità di genere”, termine divenuto il programma politico di chi intende cancellare la differenza sessuale per accreditare un’indistinzione dei generi. Un articolato che mischia questioni assai diverse fra loro e introduce una confusione antropologica che preoccupa».

Chi la sostiene respinge tutto: “identità di genere” è «un concetto largamente acquisito nel nostro ordinamento, riconosciuto in testi di legge e in convenzioni internazionali, di cui parlano da anni Corti di merito e su cui più volte si è espressa la Corte costituzionale».

Sostiene Zan

Alessandro Zan, primo firmatario della legge, è comprensibilmente soddisfatto della campagna che sta sostenendo il suo testo. Fuori dalle aule ieri è arrivato il sì dei sindaci della città metropolitana di Firenze, Dario Nardella in testa. Tutti fotografati nel gesto-simbolo, la scritta “ddl Zan” sul palmo della mano aperta. Zan è consapevole che se il testo venisse modificato dovrebbe tornare alla Camera: nella sostanza verrebbe parcheggiato su un binario morto. Ma è moderatamente ottimista. «Ora tutti ne parlano, e così anche chi è contro si può guadagnare il suo momento di visibilità. Abbiamo inserito le parole sesso, genere e identità di genere proprio per fugare qualsiasi dubbio. Identità di genere è la percezione di sé, riguarda molte trans e molti trans». E ancora: «Non è una legge per difendere “minoranze” ma per comprendere un ampio ventaglio di discriminazioni. Quanto alla misoginia, non può essere cancellata a meno che non si voglia dimenticare quello che chiede la Convenzione di Istanbul e la Direttiva europea numero 29 del 2012 che mette l’odio misogino in cima alla piramide dell’odio, come ci hanno spiegato tante magistrate e avvocate nelle audizioni e come certifica l’Osservatorio Vox-Diritti».

L’odio in rete

Nel frattempo però sulla rete si scatenano le opposte tifoserie. Con toni d’odio indistinguibili, il che ha del paradossale visto il tema in questione. Ieri ondata di solidarietà per la giornalista di Vanity Fair Nina Verdelli, travolta dagli insulti per aver scritto: «Voglio che mio figlio cresca in un paese in cui la diversità è protetta e l’odio messo al bando. Approviamo subito il ddl Zan». Irriferibili molte risposte.

D’altro canto però è successa la stessa cosa all’ex deputata del Pd Paola Concia, attivista storica per i diritti ma “rea” di aver dichiarato che «la legge è divisiva». E che si ritrova “difesa” – si fa per dire: la definiscono «la lesbica rossa» – dai giornali che all’epoca della legge sulle unioni civili la attaccavano. «Non ci casco», dice lei, «so bene che quelli che mi strumentalizzano da destra, come Libero, mi hanno sempre odiata e mi odieranno sempre». Concia spiega la sua posizione: «Non ho firmato appelli. Sono favorevole alla legge ma avrei preferito togliere la parola “sesso”. Quanto alle donne: siamo la maggioranza della popolazione non una minoranza», dice chiedendo di rimandare la questione della misoginia «ad altro provvedimento, come chiede anche la presidente della commissione sul femminicidio Valeria Valente del Pd». Del resto, ricorda, «alla Camera, a chi chiedeva di modificare la legge, veniva promesso che poi al Senato sarebbe stata migliorata. Ora non è più possibile? Prendo atto. Ma bisogna prendere atto anche che chi prova a esprimere un’opinione pacata viene messa alla gogna. Ho spalle larghe, ma sì, anche un’amarezza profonda».

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