Nel pomeriggio, al Senato si litiga per un’ora e mezza. Poi la riunione si scioglie e si convoca un’altra riunione, la capigruppo, per decidere se il voto-tagliola sulla legge Zan si consumerà oggi o fra una settimana, come chiedono le destre e Italia viva. Ma si aggiorna anche questa, alle 20. Alla fine la decisione, la discussione si aprirà questa mattina alle 9, poi ci sarà il voto sulla “tagliola”. Prima, il tavolo di maggioranza convocato dal leghista Andrea Ostellari per aprire una «trattativa», era finito male. Il Pd si era offerto di modificare la legge contro l’omofobia in cambio del ritiro della “tagliola”. Lega e Forza Italia si erano detti disponibili a trattare sulle modifiche del testo, ma senza ritirare la “tagliola”.

La giornata di ieri, in ogni caso, non promette niente di buono sull’esito di tutta la storia. La legge Zan sembra ormai avviata alla caduta finale. Alle tre del pomeriggio Alessandro Zan, l’attivista primo firmatario del testo, insieme alla capogruppo Pd Barbara Malpezzi, incontra i presidenti di M5s, Leu e Iv. Non le destre, che non accettano l’invito. Alle 17 è invece l’ex relatore in commissione, Ostellari, a convocare il tavolo di maggioranza. E a disertare stavolta sono Leu e M5s. «Non è chiaro il profilo istituzionale di questo tavolo», spiega Loredana De Petris, «ritirino la tagliola e siamo pronti a dialogare con tutti». Ma la “tagliola” resta innescata.

Il voto cancella-tutto

Ma cos’è in concreto la “tagliola”? Due dispositivi che fino a ieri sera restavano all’ordine del giorno di oggi al Senato. Acronimo «Np1» e «Np2», sono richieste di «non passaggio agli articoli» in forza dell’articolo 96 del regolamento. Uno a firma del leghista Roberto Calderoli; l’altro del fratello d’Italia Ignazio Larussa, il quale ha così voglia di trattare da spiegare limpidamente che «se il ddl Zan viene bocciato è un aiuto che si fa alla cultura italiana».

C’è già la richiesta di voto segreto. E con il voto segreto, paradiso dei franchi tiratori, i numeri sono incontrollabili: i renziani sono come sempre sospettati di voler far fallire la legge per colpire Enrico Letta. Loro negano e additano i grillini: alcuni senatori non vedrebbero l’ora di dare un calcetto al nuovo leader Giuseppe Conte facendo fallire un testo che è una specie di atto di fidanzamento fra Pd e M5s. Poi ci sono i dissensi dentro il gruppo dem, tre forse quattro. Negati dai democratici che invece spiegano che il vero problema sta nel gruppo misto: causa diaspora grillina ora mancano all’appello cinque-sei voti della vecchia maggioranza giallorossa. Ma De Petris, presidente del gruppo misto, puntiglia: «I voti ci sarebbero ma mancano i senatori: quelli senza green pass non possono venire a votare». Lello Ciampolillo e Bianca Laura Granato, per esempio, sono No pass, quindi di fatto diventeranno anche No Zan.

Per tutto il pomeriggio di ieri il Pd ha sperato nel ritiro della tagliola. Ma in serata anche l’ultima illusione è svanita. La speranza era Anna Maria Bernini, capogruppo forzista, liberale, avvocata, esperta di diritto civile, open mind e favorevole a una legge contro l’omofobia come già era stata a favore delle unioni civili. Ma la Zan non le piace, «ha troppe criticità, la stanno macerando per eccesso di comunicazione». Eppure, spiega prima di entrare nella riunione, «c’è ancora tempo per una buona modifica da cui esca una legge utile e importante. Però bisogna innanzitutto abbandonare la smania di chi vuole intestarsi tutto. Fatto questo, ci sono due strade: o il rinvio della legge in commissione, oppure usare i sei mesi di tempo che dà il regolamento se viene accettato il “non passaggio agli articoli” per fare una lunga meditazione e una sostanziosa revisione del testo».

La presidente è convinta che il pasticciaccio in cui è finita la legge Zan sia colpa di una calendarizzazione chiesta a spron battuto «quando forse il Pd aveva un pallottoliere diverso». Tradotto: qualcuno a casa dem non aveva fatto i conti con il voto segreto. Ora anche Letta deve abbandonare la linea, diciamo così, della fermezza. «L’impegno che la Zan diventi legge qua lo prendo e lo confermo», dice alla riunione della direzione, «domani (oggi, ndr) c’è un voto tagliola in Senato, chiesto da Lega e FdI, nelle loro intenzioni vuole affossare il provvedimento. L’appello che faccio è di evitare questo, che sarebbe uno schiaffo alla maggioranza della società italiana. Questa risposta la vogliono tutti i giovani. Non ne facciamo una battaglia di bandiera, ma vogliamo arrivare al risultato».

E però fino a tre giorni fa la Zan era una testo da approvare senza deflettere. Che è ancora la linea di M5s e Leu. E ancora ieri la senatrice Monica Cirinnà ripeteva «meglio nessuna legge che una cattiva legge». Fuori dal palazzo Arcigay, femministe e tutto l’associazionismo Lgbt, avvertono: nessuna mediazione al ribasso. Alessandro Zan promette e rassicura. Il senatore Franco Mirabelli anche: «Ma secondo lei possiamo trattare con chi vota il non passaggio agli articoli?». La presidente Malpezzi alla direzione rivendica la linea tenuta: «Continuo a essere convinta che la rigidità mostrata nei mesi scorsi ci abbia aiutato ad uscire dalle secche di una commissione presieduta da chi voleva affossare la legge. Siamo finalmente riusciti a portare il testo in aula dopo mesi di ostruzionismo. Ora siamo davanti a un elemento di svolta e chiarezza».

I pop corn di Renzi

Italia viva sta nuovamente tirando fuori i pop corn. Da mesi Matteo Renzi avverte che la posizione rigida di Letta sarebbe stata controproducente. Davide Faraone, capo dei senatori Iv, respinge le accuse di scarsa affidabilità. «Abbiamo votato tutti i passaggi. E l’ultimo voto, nonostante Iv è stata compatta, è passato per un solo voto (il riferimento è a un episodio di luglio sulla richiesta di sospensiva della legge) quindi non è che noi non garantiamo i numeri, i numeri non ci sono o sono dubbi. Siccome è una legge importante, provare ad approvarla con il terno a lotto è irresponsabile».

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