La versione senza tagli della telefonata fra Fedez e la produzione del concertone del Primo maggio racconta meglio la storia che ha fatto esplodere la polemica politica andata avanti per tutta la giornata di ieri. Il testo del monologo viene chiesto in anticipo da ICompany, la società produttrice dell’evento. Il team degli autori e la produzione sono preoccupati. L’elenco di leghisti che il rapper vuole leggere dal palco è costituito da consiglieri comunali e dirigenti locali che nel tempo hanno pronunciato frasi di chiarissimo stampo omofobo (una per tutte: «Se avessi un figlio gay lo brucerei nel forno»). Poi c’è il presidente della commissione Giustizia del Senato Andrea Ostellari, accusato dall’artista di voler affossare la legge. Massimo Cinque, capoprogetto e uno degli autori, chiede a Fedez di adeguarsi al «sistema» del servizio pubblico. Nella stanza sono in molti ad ascoltare dal vivavoce. Interviene anche il ceo Massimo Bonelli. Quando viene tirato in ballo il servizio pubblico si inserisce nella conversazione la vicedirettrice di Rai Tre delegata a curare l’evento, Ilaria Capitani. Interrompe Cinque e esprime la sua «personale opinione»: il «contesto» è «inopportuno» ma la Rai non opera censura, assicura. L’artista respinge ogni richiesta, racconta di aver fatto leggere il testo «ai suoi amici giornalisti» («Peter Gomez, Marco Travaglio – del Fatto – e il direttore di Repubblica»).

Il monologo alla fine viene pronunciato. Scattano le polemiche, anche per la telefonata, resa pubblica da Fedez ma non per intero. La Rai nega di aver chiesto di prendere visione preventivamente dei testi. La Lega attacca il rapper, ma dopo una prima fiammata Matteo Salvini lo invita a prendersi un caffé per parlare della legge Zan. Il M5s spara alzo zero sul leghista. La Cgil si schiera con Fedez e per la legge. Enrico Letta, segretario Pd, chiede alla Rai «parole di chiarimento e di scuse», cavalcando la vicenda per mettere sotto accusa i vertici Rai in una querelle che va avanti da tempo. E insiste sulla legge: «Sono disponibile a dibattere con la Lega nel merito, ciò che trovo sbagliato è l’atteggiamento di ostruzionismo». Poi rivendica la legge «calendarizzata al Senato su iniziativa del Pd». E qui ad arrabbiarsi sono i grillini, che lo accusano di appropriarsi della battaglia.

La tattica leghista

Arriviamo alla legge incagliata al Senato. La performance di Fedez, insieme ad altre sul palco dell’Auditorium della musica di Roma, potrebbero riuscire dove le forze politiche non riuscivano: e cioè smontare la tattica leghista per «prendere in ostaggio l’intera commissione», come dice il dem Franco Mirabelli. La legge è stata calendarizzata la scorsa settimana in commissione dopo che il presidente Ostellari le ha tentate tutte per rimandarla. Il «passo in avanti» viene salutato dai movimenti per i diritti come un avanzamento. Ma è così solo all’apparenza. Perché subito dopo Ostellari si autoattribuisce il ruolo di relatore del testo. Scelta prevista dai regolamenti, ma inconsueta e che tradisce, anzi esibisce, le sue intenzioni. Ostellari in un primo momento aveva tentato la strada della contestazione della legge in quanto «divisiva». Ora tenta di incanarla su un binario morto: utilizzare l’alibi di qualche dissenso fra le associazioni; enfatizzare la necessità del «dialogo», come chiede anche la Cei; preparare il terreno per far passare un qualche emendamento, in commissione e poi in aula.

Il testo modificato dovrebbe tornare alla Camera per la terza lettura. Cioè per essere affossato: tra i provvedimenti del Piano di rilancio e quelli della pandemia, chissà quando potrà essere votato.

Sulla carta la mossa è impossibile. Gli ex giallorossi hanno la maggioranza in commissione e in aula. Ma a dargli manforte è arrivata una manina azzurra. Anzi una manata. Alla Camera Silvio Berlusconi ha concesso ai suoi libertà di voto. Invece venerdì scorso Antonio Tajani ha scoccato il contrordine: «Non c’è bisogno di una legge come questa, tutti i cittadini sono già garantiti».

I forzisti tendenza Orbán

Il coordinatore di Forza Italia è il massimo esponente dell’ala filosalviniana. Elio Vito, dell’area liberal, gli ha risposto a brutto muso: la decisione di votare no alla Zan «non risulta sia stata presa in nessuna sede di partito». Vito lancia un messaggio velenoso: «Sono altri i paesi, forse non a caso proprio quelli dove l’omosessualità è perseguitata, dove il “partito” coincide spesso con lo stato e con il parlamento». Il riferimento è a chi propende verso il modello Orbán contro i lealisti delle democrazie liberali. Cioè Tajani. Che ha sempre più seguito: con Berlusconi calante, fra i parlamentari aumenta la voglia di attaccarsi al carro leghista. In realtà anche l’area liberal, vicina alla ministra Mara Carfagna (tendenza sì alla legge) è divisa. «Non voterò la legge così com’è», annuncia Andrea Cangini, «e non perché sono d’accordo con Salvini, ma perché è una legge che limita la libertà di espressione. E poi perché la logica di Salvini e quella di Letta è esattamente la stessa: quella delle bandierine».

Salvini con una mano offre dialogo a Fedez, consapevole che mettersi contro un tema che raccoglie un gran consenso tra i giovani e fra gli influencer non è una gran furbizia. Dall’altra attacca: «Ritengo di avere il diritto di pensare che l’utero in affitto sia una barbarie sul corpo di una donna. Ho perplessità sul fatto che nelle scuole con bimbi di sei anni si parli di identità di genere come se non ci fossero uomini e donne». Fact-checking: la legge non punisce le opinioni, è un’estensione della legge Mancino contro l’antisemitismo e il razzismo. Il riferimento ai «bimbi di sei anni» che parlano di «identità di genere» è un’altra una bufala: la Zan istituisce una giornata nazionale contro l’omotransfobia e stabilisce che le scuole promuovano iniziative in ossequio ai diritti sanciti nella Costituzione.

Torniamo al senato. Alessandro Zan, deputato Pd estensore della legge, ringrazia il rapper: «Il coraggio di Fedez al Concertone dà voce a tutte quelle persone che ancora subiscono violenze e discriminazioni per ciò che sono. Il senato abbia lo stesso coraggio ad approvare subito la legge». Quanto a Ostellari, giura, rischia l’autogol: «Fin qui il presidente non è stato super partes, ha utilizzato tutte le sue prerogative per impedire il voto in commissione. Ora è anche relatore: ma una bocciatura di un eventuale nuovo testo emendato equivarrebbe a una sfiducia a lui». Nel caso, insomma, dovrebbe dimettersi.

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