Il bestiario delle invenzioni politiche della storia italiana si è arricchito, con la fiducia votata al governo di Mario Draghi, di una nuova creatura. Si tratta di un esecutivo che il neo premier ha fermamente ancorato all’asse euro atlantico, ma contemporaneamente è una formazione di difficile definizione usando le normali categorie. A tratti tecnico e a tratti politico, anti populista e populista insieme, cosa è il governo Draghi? Christopher Bickerton studioso di questioni europee alla università di Cambridge lo ha definito in un recente incontro organizzato da Geg, il gruppo di studi geopolitici di Sciences Po, un governo «tecno populista».

Nell’idea di Bickerton, Draghi rappresenta «l’eroe popolare che risolve i problemi, una figura che anche Salvini ha spesso cercato di interpretare nella sua narrazione» in cui la politica è spesso definita semplicemente soluzione di problemi. Allo stesso tempo, secondo lo studioso, non deve stupire che il M5s faccia parte di un governo tecnocratico: descritto come movimento populista in quanto anti élite, il M5s ha sempre avuto anche una visione fortemente tecnocratica, cioè una valorizzazione del sapere rispetto all’agire politico e al compromesso, anche se si tratta di un sapere popolare in cui ognuno può essere un esperto. Insomma, lo spazio della politica italiana «si era già ri-orientato lungo le direttrici tecnocrazia e populismo e Draghi sta nel mezzo».

Vince il pragmatismo

Secondo Harold James professore di studi europei a Princeton e tra gli autori di La battaglia delle idee. Alle radici della crisi (e del futuro) dell’euro, libro di cui Draghi ha scritto l’introduzione, «quella di Salvini è una mossa molto pragmatica». «Credo che lui abbia capito che accettare l’euro come moneta sia prendere semplicemente atto della realtà, che l’abbandono dell’euro può voler dire ritorno all’inflazione e il blocco dello sviluppo del paese: si tratta di abbracciare un approccio realistico», dice il professore, convinto che la pandemia abbia fatto cambiare i calcoli a molti, «evidenziando la necessità della cooperazione». «Quando si invocano i valori europei», dice James, «bisognerebbe ricordare quello che disse Gorbacev al segretario di stato americano Baker: non ha senso parlare di valori occidentali perché sono valori di tutti».

Erik Jones, professore di studi europei alla John Hopkins university, già prima della nascita del governo prevedeva che Salvini avrebbe utilizzato il governo per ribadire alcune delle sue politiche di bandiera. Anche Berlusconi, ricorda Jones, in passato ha espresso posizioni critiche sull’euro, ma Berlusconi era «molto più trattabile», rispetto a Salvini che nonostante tutto ha «idee molto più chiare». Certo questo governo arriva quando l’Europa investe i fondi della “Recovery and resilience facility”, ma la verità su Salvini si vedrà al momento delle riforme. E in effetti nei primi giorni ha dovuto fare i conti con un Matteo Salvini che è riuscito a far intendere che l’euro era reversibile, che durante il dibattito parlamentare ha invocato una Europa sette giorni su sette e allo stesso tempo ha chiesto il diritto di criticarla.

Tuttavia per Salvini acquisire la patente di europeista non è un traguardo da poco. Per esempio, dice Cécile Robert, professoressa di sociologia politica e affari europei all’università di Lione, «in Francia con Emmanuel Macron l’europeismo è stato usato come sinonimo di credibilità e Macron lo ha utilizzato per riconoscere o non riconoscere gli interlocutori».

Macron e Draghi

In effetti, secondo Bickerton, il governo che Macron ha composto dopo il voto del 2017 e l’attuale governo Draghi si assomigliano sorprendentemente: entrambi composti da un mix di politici sia di destra che di sinistra e di personalità scelte per le competenze settoriali. E questo va inserito nella complessità della situazione dell’Ue, in cui c’è una dimensione di rapporti politici verticali tra stato e cittadini e orizzontali tra diversi stati.

I cosiddetti populisti sono arrivati sulla scena dell’Unione a riportare il conflitto, dopo che le divisioni destra e sinistra si erano molto affievolite. L’ex presidente della Commissione Ue, Jean Claude Juncker, spesso rappresentato come una macchietta ma in realtà fine politico, sosteneva che l’Ue dovesse rispondere diventando appunto più politica. «Quello di Draghi», dice in effetti Bickerton, «non è il trasferimento di potere allo spazio vuoto della tecnocrazia, ma al contrario è una politicizzazione della sua competenza». E però si tratta anche di una ulteriore «trasformazione all’interno delle nostre regole democratiche». La politica moderna si basa sulla divisione destra e sinistra e recentemente abbiamo visto quella globalisti – sovranisti. Secondo lo studioso, «il tecno-populismo supera questa frammentazione combinando appello al popolo e alla competenza, che diventano complementari».

Draghi stesso è difficile da incasellare, proprio perché piuttosto il suo ruolo è stato quello di muoversi sull’asse orizzontale dell’integrazione europea. Eppure in questo scenario, in cui è più forte il movimento orizzontale e i conflitti sono in secondo piano, la sfida di questo governo è proprio quella di trovare legittimità politica.

 

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