La “mossa” di Enrico Letta, per citare il momento cruciale del Palio, è un appello diretto ai cittadini senesi. Per saltare il ginepraio delle beghe, locali e non solo, che Italia viva ha scatenato sulla corsa al collegio Toscana 12. Non c’era altro modo per venirne fuori, spiegano. In una settimana Matteo Renzi e i suoi hanno cambiato posizione almeno quattro volte: dal «no a Letta» del consigliere regionale Stefano Scaramelli al «parliamone» di Renzi stesso; alla richiesta di «un passo indietro», di nuovo di Scaramelli; alla proposta di scambio di cortesie con un eventuale candidato del collegio uninominale Roma 11 (i titolari dell’idea sono Renzi e Carlo Calenda).

Una gran confusione, insomma, che ha consigliato il segretario del Pd a rivolgersi agli elettori e alle elettrici: «Chiedo apertamente e pubblicamente il sostegno ai cittadini, ai movimenti, alle associazioni, ai partiti che sul territorio del collegio sono interessati a convergere sul mio nome» per «sventare la vittoria del candidato unitario delle destre». Schierare altri candidati significa favorire le destre, spiega Letta, «l’elezione suppletiva, in un collegio uninominale è una corsa sostanzialmente a due».

Quanto ai partiti, Art. 1 ha risposto sì. Anche Sinistra italiana, che pure non ha ancora formalizzato la scelta. E anche i Cinque stelle. Che però pongono qualche problema, sotto forma di paletto antirenziano: «La posizione dei Cinque stelle è di sostegno al candidato Letta come parte di un percorso programmatico e politico. Questo è il primo passo di una coalizione che poi guarderà alla tornata elettorale delle amministrative nel 2022 ed alle politiche e alle comunali per Siena nel 2023», spiega il deputato Luca Migliorino. Che aggiunge: «Ma a Siena tutti dicono “se c’è Renzi non voto il centrosinistra”. La presenza di Italia viva in questa coalizione potrebbe togliere elettori invece di portarli: chi vota M5s può accettare la candidatura di Letta ma molti difficilmente accetterebbero Renzi».

Più Renzi meno M5s

È uno degli interrogativi che circola fra dirigenti dem: e se fosse davvero meglio non imbarcare Iv nella coalizione? I voti di Scaramelli – nel 2015, alle regionali, 15.259, ma solo 4.175 nel 2020, il 6,83 per cento – si sommano o si sottraggono? Scaramelli, dopo aver lanciato i suoi petardi sulla candidatura di Letta, ora fa la parte di quello che apprezza: «È importante che dopo 18 giorni si sia deciso a fare un appello, lo consideriamo un passo avanti». Ma «è arrivato il momento in cui il Pd deve decidere se restare con i giustizialisti o con i populisti. Noi siamo gente seria».

Veti incrociati, dunque. Il segretario del Pd provinciale Andrea Valente cerca di smussare gli spigoli: «Nella coalizione a sostegno di Letta c’è spazio per tutti. L’obiettivo è creare un campo politico largo e progressista, che comprenda con pari dignità le forze politiche, compresa Italia viva». Al contrario si spazientisce invece la segretaria regionale Simona Bonafè, ex renziana della primissima ora: «Stiamo assistendo attoniti allo snodarsi di una strategia del tutto inattesa da parte di Iv. È stato sufficiente il materializzarsi della candidatura del segretario del Pd nelle suppletive del collegio senese-aretino a scatenare un crescendo di atteggiamenti provocatori, che stanno incrinando il rapporto di fiducia alla base dell’alleanza di governo in regione», ed elenca alcune vicende d’aula «Iv decida da che parte stare e abbia il coraggio di dirlo chiaramente ai cittadini».

Il ribaltone possibile

Quella della regione è un’altra storia. Eppure c’è chi già parla di ribaltone: la maggioranza di Eugenio Giani sarebbe autosufficiente anche senza i due consiglieri regionali Iv. I consiglieri M5s sono ugualmente due. Se Iv alla fine uscisse dalla maggioranza, o venisse accompagnata all’uscita, a farne le spese sarebbe la renziana vicepresidente e assessora Stefania Saccardi, che per entrare in giunta ha dovuto dimettersi dal consiglio.

Mps nell’urna

Letta ha promesso una vera campagna elettorale. Sapendo che quello senese-aretino, oltre ad essere un territorio passato nelle mani del centrodestra è per giunta anche un territorio di delusi, anche dal Pd. Lì Pier Carlo Padoan, l’ex ministro eletto nel 2018 che si è dimesso da deputato per andare a fare il presidente di Unicredit, fu candidato da Renzi, mentre la candidata Maria Elena Boschi, aretina, veniva spedita in un collegio sicuro a Bolzano. Le dimissioni di Padoan, benché in linea con la legge, sono un chiaro esempio di porte girevoli fra mestieri in conflitto di interesse. Nel giro stretto di Letta si sa bene che «la vicenda Padoan non aiuta». E il futuro del Monte dei Paschi, ancora incerto, è la posta in gioco, e soprattutto l’ipotesi di spostare fuori da Siena la governance: il Gruppo è la prima fonte di lavoro dipendente nella provincia e nella regione, più di 5mila addetti su 21mila dipendenti, oltre alle società partecipate e alle aziende dell’indotto.

Mancava dunque Renzi, e il suo domino di reazioni a catena. Iv non ha alcuna possibilità di eleggere un suo candidato, ma ha la concreta possibilità di mettere in forse l’elezione del segretario Pd. Come nell’eterno ritorno del giorno di «Enrico stai sereno», per ripetere di nuovo la detronizzazione da palazzo Chigi del 2014, ma stavolta dal Nazareno: perché Letta ha promesso di dimettersi in caso di sconfitta.

Difficile, se non impossibile, dunque riassemblare la maggioranza giallorossa contro la candidatura dell’imprenditore vinicolo Tommaso Marrocchesi, sostenuto dal centrodestra. Per il segretario Pd spiega di lavorare «per la costruzione di un campo largo, democratico, progressista e riformista».

E però M5s e Iv sono incompatibili. D’altro canto per Letta è impossibile trattare uno scambio Siena-Roma, quello che offre Renzi. «La situazione dell’altro collegio delle suppletive, quello di Roma, non è sovrapponibile a quella di Siena», viene spiegato al Nazareno. «Difficile lì trovare intese unitarie, il collegio di Primavalle è interessato anche dall’elezione comunale dove il fronte contrapposto alle destre è diviso in tre candidature». Insomma lì, nel seggio lasciato libero da Emanuela Claudia Del Re, del M5s, che si è dimessa per andare a rappresentare l’Unione europea nel Sahel, Renzi e Calenda hanno lanciato l’ex sindacalista Marco Bentivogli. Ma sono contemporaneamente avversari di Roberto Gualtieri, candidato del centrosinistra nell’altra partita per la vita (politica) di Letta. «Dovremmo dire ai nostri elettori di votare Bentivogli quando Calenda è il competitor più aggressivo del candidato del Pd?», «Ogni interlocuzione, a livello locale e coi vertici nazionale, deve essere trasparente, senza contropartite. Non si gioca a Risiko».

Per ora capire cosa ha in testa Renzi non è facile. Difficile che si sottragga alla tentazione di tentare il colpaccio contro quello che vive come suo eterno rivale, la prova vivente dei metodi della sua ascesa a palazzo Chigi. Sopravvissuta, e tornata al timone al Pd. Per ora Renzi cambia idea di continuo. Anche sulla candidatura di Bentivogli alla fine si è rimangiato tutto. Calenda se la prende con Letta: «Il Pd ha deciso di non avere altro dialogo che con Conte. E ha risposto negativamente su Bentivogli. Anzi, su Roma, vogliono un candidato separato per ragioni di amministrative. Però a Siena chiedono di votare Letta».

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