A Montecitorio gli ultimi applausi così a spellamani Enrico Letta li aveva ricevuti in due occasioni. Nel febbraio 2014, quando tornò per votare la fiducia al nuovo governo dopo essere stato defenestrato da palazzo Chigi; autore materiale della defenestrazione Matteo Renzi, ma su mandato della direzione del partito (solo i civatiani votarono contro). In aula ci fu un lungo abbraccio con Pierluigi Bersani, a sua volta appena rientrato dopo una delicata operazione. L’altra volta fu nel luglio del 2015, il giorno delle dimissioni da deputato per andare a Parigi a presiedere l’Istituto di studi politici Sciences Po.

Dopo un discorso che oggi sembra profetico: «Do le dimissioni dal parlamento ma non dalla politica, perché dalla politica non ci si dimette». Applausi di coccodrillo di sicuro, quelli di sette anni fa. Forse non tutti sinceri anche quelli di ieri all’ora di pranzo. I deputati Pd hanno riservato la standing ovation al rientro alla Camera del loro segretario eletto nel seggio di Siena. Poteva rientrare una settimana fa, ma ha preferito aspettare l’esito dei ballottaggi. Lui e il suo staff negano che ci sia una regia in questa scelta. Ma l’effettone è quello di essere tornato da vincitore.

Giacca blu e cravatta rossa, poche parole per i cronisti che lo aspettano a piazza Montecitorio, poche anche per quelli appostati nel cortile del palazzo. Letta è emozionato ma poco ciarliero: «È il mio secondo primo giorno di scuola, oggi ci sarà da darsele». Si riferisce alle destre che chiederanno le dimissioni della ministra Lamorgese, che sta per svolgere le comunicazioni sui fatti del «sabato fascista». È scortato dalla capogruppo Debora Serracchiani, scambia qualche parola con Nicola Fratoianni; lo raggiungono Fabio Melilli e Claudio Mancini, il potente braccio destro del neosindaco di Roma Gualtieri. Poi Letta entra nell’aula, dove siede fra la presidente e il deputato Enrico Borghi. E lì arriva, appunto, l’applauso dei suoi. Nella fila sopra di lui c’è Alessandro Zan.

Subito la legge Zan

È proprio sulla legge Zan la prima prova di forza del Pd versione post «trionfo elettorale» (copy lo stesso Letta). Ieri al senato la conferenza dei capigruppo ha calendarizzato il testo contro l’omotransfobia su richiesta di Pd, M5s e Leu. Arriverà in aula mercoledì 27 ottobre. Per ora, spiega la presidente dei senatori dem Simona Malpezzi, è stata chiesta «la prosecuzione e la conclusione della discussione generale. A seguire ci saranno i due voti sul “non passaggio agli articoli” chiesti da Lega e FdI». In pratica le destre chiedono che l’iter si fermi. Voto segreto, primo spartiacque. Sulla carta i numeri per andare avanti ci sono. Se tutto va bene poi si passerà agli emendamenti. E lì potrebbero arrivare gli agguati e il fuoco amico di Italia viva.

Martedì 26 verrà comunque riunita la direzione del partito. L’agenda Letta per il nuovo Pd prevede anche di sventolare qualche vittoria anche sulla legge di bilancio, già definita «convincente» dal responsabile economico Antonio Misiani. Letta vuole spingere su salute pubblica, istruzione, qualche scelta concretamente green e infine sul lavoro. Sul taglio del cuneo fiscale ha già incassato il sì di Confindustria. «Bisogna mettere i soldi nelle tasche dei lavoratori», lo ha incoraggiato il presidente Vincenzo Boccia. Fino a fine anno Letta cercherà di far risaltare la trazione dem sul governo Draghi. Poi però dovrà inventarsi la mossa giusta sul nuovo inquilino del Quirinale. Perché resta quello del Colle il vero esame di laurea del segretario Pd. I primi, cruciali voti si svolgeranno già i primi giorni del 2022.

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