L’alleanza di centrosinistra ancora non c’è ma secondo l’ex premier Giuseppe Conte «non parte da zero», parte dal suo governo. Di cui rivendica i meriti con eloquio torrenziale, senza il minimo cedimento al dubbio. Solo l’interruzione del collegamento riesce a fermarlo. Siamo al secondo appuntamento delle «Agorà», l’area culturale di Goffredo Bettini che mette insieme, per la prima volta su un palco virtuale, il segretario del Pd Enrico Letta e il futuribile leader M5s. Questo matrimonio s’ha da fare, pensano tutti i presenti. E forse anche le migliaia di persone collegate, gli organizzatori parlando di numeri sorprendenti. Eppure manca la linea.

La tentazione di credere alle metafore è forte, visto che Conte, prima di essere zittito dalla tecnologia, ha spiegato che «destra e sinistra hanno perso il loro ruolo ordinante». Ammette che i Cinque stelle sono di sinistra perché sono «la forza più determinata a modernizzare il paese» e invece «le forze della sinistra hanno perso la capacità di parlare al popolo». L’alleanza è una necessità, ma la competizione è aperta. Fra una questione «assiologica» e un’altra «dicotomica», una «gnosi» e «una fùcina», Conte concede che fra le due forze c’è «un’esperienza condivisa sul campo nel governo uscente e un’analisi condivisa nei limiti del modello di crescita economica neoliberista che ha avuto l’arroganza di interpretare la globalizzazione propagandando che avrebbe risolto le sorti dell’intero pianeta». Ma capisce che come rendita di posizione non è un granché: «Dobbiamo conquistare la fiducia dei cittadini con la forza delle nostre idee». Eppure le sue idee sono smemorate: dice che quando c’era lui nessun porto è stato chiuso, e invece c’è un suo ministro – Matteo Salvini – sotto processo per questo. Prima di lui si è parlato anche del «male del trasformismo italiano»: ma l’avvocato non ha fatto un plissé, come se la cosa che lo riguardasse. 

La convergenza che verrà

«È un discorso di convergenza importante, ci interessa un cammino comune», benedice Letta, fa un atto di fede verso «una convergenza che arriverà»: fin qui alle amministrative non si vede. «Usiamo modalità diverse ma saremmo in grado di tenerci per mano», questo «consentirebbe ai cittadini di avere fiducia». Non cavilla. Potrebbe: ai suoi tempi Letta ha varato Mare Nostrum, la missione di salvataggio dei migranti in mare. Il nuovo Pd di Letta è «in continuità con l’idea di Piazza Grande» di Nicola Zingaretti. Ne offre la mano a Conte, perché oggi serve «radicalità e interventi rivoluzionari». Il fidanzamento insomma si stringe, anche se il segretario Pd sottolinea l’appoggio a Draghi assai più di Conte.

Quelli del nuovo Pd di Letta e del nuovo M5s di Conte sono due «decolli paralleli», dice Goffredo Bettini – «caro amico», lo definirà l’ex premier – che «devono avere chiaro un obiettivo comune di unità». Insieme possono costruire «il partito-campo di una alternativa possibile». Ma devono «riflettere ancora», ammette. Intanto sulla legge elettorale. E anche su come non rubarsi i voti a vicenda: «L’errore più grave sarebbe una sovrapposizione di profili politici, culturali e anche programmatici. Ognuno deve arare i terreni per esso più congeniali». Bettini mette sul piatto la gran mole di problemi che pone l’alleanza. In realtà Letta e Conte si sentono spesso. Il leader del Pd, pur rispettando le vicende interne, scommette sul nuovo Movimento di Conte, garanzia di europeismo.

Ma il campo comune c’è. O meglio, dice Massimiliano Smeriglio introducendo il match, è «un’ipotesi», «un’ambizione», purché tenga come stella polare «la giustizia sociale e la progressività», «un nuovo modello di sviluppo, facendo cose utili, riconoscendo le pratiche di solidarietà attiva». «Serve un centrosinistra degli inclusi, popolare e non populista», suggerisce Nadia Urbinati, un’alleanza capace di «far sentire che è capace di dare strumenti per essere cittadini». «Cosa aspettiamo a fare una legge sui rider e cambiare la Bossi-Fini?», incalza Elly Schlein, vicepresidente dell’Emilia-Romagna, «A sinistra è mancata la capacità di interpretare le grandi trasformazioni della società, di anticiparle e governarle».

Tutto bene, ma solo in teoria. Chiuso il collegamento Conte deve incontrare i capicommissione dei Cinque stelle, e sarà una discussione spinosa. Per le sue nuove capitali decisioni il M5s ha bisogno degli elenchi degli iscritti, che però Davide Casaleggio mantiene nel forziere di Rousseau, in attesa della sentenza del tribunale di Cagliari, dove pende il ricorso presentato da una grillina espulsa. Anche Beppe Grillo, il suo protettore politico, non è più quello di una volta: si è rilanciato nella veste di accusatore della ragazza che ha denunciato suo figlio per stupro. E anche Conte è inciampato in una grana che non si aspettava. Domani ha ricostruito una serie di sue consulenze e di operazioni intorno al concordato della società Acqua Marcia, delle quali hanno parlato anche l’avvocato Piero Amara e il lobbista Fabrizio Centofanti alle procure di Milano e Perugia. Consulenze «riservate» ma non segrete – dice lui stesso su Facebook – ma delle quali fin qui non aveva raccontato ai suoi né al «popolo» ai cui «bisogni» spiega di essersi dedicato. «Non dubitate, avrete un M5s completamente rigenerato», assicura l’ex premier quando riacciuffa la linea. Per riperderla subito dopo.

© Riproduzione riservata