È chiusa, per il segretario del Pd, la parentesi della polemica sulle affermazioni di Massimo D’Alema sul renzismo «malattia terribile del Pd, guarita da sola».

Enrico Letta, dopo una risposta polare via Twitter («nessuna malattia e quindi nessuna guarigione») non ne vuole più sentire parlare. Dal lato Art.1 le parole dell’ex ministro degli Esteri hanno svelato un segreto di Pulcinella, e cioè la strada del rientro di Art.1 nel Pd via Agorà democratiche, anche se alle Agorà si aderisce a titolo personale quindi servirà il passaggio formale del congresso nella prossima primavera.

Un passaggio non indolore, dentro e fuori. Da Art.1 filtra qualche voce dissonante, dalla «rivolta» dei toscani a qualche dissenso in segreteria, fino al quesito di fondo di uno dei fondatori, l’ex europarlamentare Antonio Panzeri: «Ma la malattia era davvero solo il renzismo? Se fosse così, perché non siamo rientrati già con Nicola Zingaretti?».

Dal lato del Pd regna un po’ ovunque lo scetticismo, e non solo per la reazione indignata della minoranza riformista: per Letta le Agorà sono un cammino verso il «campo largo», e «non devono essere interpretate come uno strumento fittizio per fare operazioni a tavolino», avverte Nicola Oddati, coordinatore dell’iniziativa.

Domare i gruppi

Del resto il giudizio negativo di Letta sul renzismo, da vittima numero uno di quella stagione politica, non è un mistero. Non è tenero e lo ha scritto in due libri dopo la defenestrazione del 2014.

Ma oggi chiede di «guardare avanti, fondare un racconto del centrosinistra diverso dal passato». Traduzione concreta: le parole di D’Alema oggi rischiano di azzoppare il suo immane sforzo di tenere uniti i gruppi parlamentari, in gran parte composti da ex renziani (parola accuratamente sbianchettata dal vocabolario ufficiale del Nazareno), alla vigilia della prova più importante della sua segreteria, quella del voto per il Colle.

È questa la chiave per leggere meglio la sua irritazione, alla vigilia della riunione congiunta fra direzione e gruppi parlamentari, il 13 gennaio. Nel brindisi virtuale con il gruppo dirigente del suo partito, D’Alema ha scolpito altri giudizi abrasivi.

Il più duro su Mario Draghi: «Rischiamo che la crisi politica si accompagni alla crescita di un potere tecnocratico che sarebbe il punto di arrivo della stagione dell’antipolitica». Per l’elezione del capo dello stato serve «una soluzione che riapra il campo della sovranità della politica anche se dovrà essere una soluzione di compromesso».

E ancora: «L’idea del presidente del consiglio si autoelegge capo dello stato e nomina un altro funzionario del ministero del Tesoro al suo posto mi sembra una prospettiva non adeguata a un grande paese democratico».

Poco prima Pier Luigi Bersani aveva messo in guardia contro «l’occasione per qualche operazione politica molto insidiosa». Letta, che di Bersani è stato il vicesegretario e con lui ha mantenuto ha un rapporto stretto a differenza che con D’Alema, deve prendere atto che i due padri nobili ex scissionisti sono contrari all’elezione di Draghi al Quirinale.

Che è invece opzione che il segretario Pd non esclude. E se non per andare presto al voto, possibilità che Letta non può nominare perché scatena l’ira di dio nella maggioranza dei parlamentari, perché ritiene Draghi l’unica opzione forte per combattere la corsa di Berlusconi, che valuta più seria di quello che appare.

Il ritorno alla politica

LaPresse

In più, nell’analisi di Letta, Draghi al Quirinale favorirebbe il ritorno alla dialettica politica fra le opposte forze parlamentari.

Ma è l’esatto contrario dell’analisi che circola in Art.1 – espressa apertis verbis dal «militante semplice» D’Alema – secondo cui l’ex presidente della Bce, da capo dello stato, obbligherebbe le forze politiche alle larghissime intese oltre i limiti di questa legislatura eccezionale. Ora Letta fa sapere di essere pronto ad incontrare Giuseppe Conte e Roberto Speranza, ma anche i leader del centrodestra.

Ma con questi ultimi dal suo punto di vista la discussione resta congelata finché il tavolo non verrà sgomberato dal «macigno» Berlusconi. Che è uno dei tre punti del patto di consultazione con il presidente M5s e il segretario di Art.1.

Gli altri due punti sono l’elezione di un capo di stato a larga maggioranza e l’accordo per la fine della legislatura. Un accordo, quest’ultimo, che secondo Letta si può stringere anche con l’elezione di Draghi al Colle. Che però i due alleati giallorossi non vogliono.

© Riproduzione riservata