«Noi siamo il partito dell’intelligenza collettiva. Scommettiamo sul fatto che è meglio della leadership carismatica e individuale». Come Pier Luigi Bersani prima e Nicola Zingaretti poi, Enrico Letta critica i leader dell’«io» e si schiera dalla parte del partito del «noi». Ce l’ha con gli avversari, Matteo Salvini in primis, ma anche con qualche suo predecessore, Matteo Renzi in primis. Al suo primo filo diretto radiofonico il neosegretario del Pd dà del lei al conduttore Cristiano Bucchi, tende a dare del lei anche ai segretari di circolo che lo chiamano per fargli le domande, ma poi sfiora la citazione dell’«intellettuale collettivo» di Gramsci, concetto più avvezzo al “tu”. Cose che capitano nel Pd. Letta, votato dall’Assemblea nazionale e non dai gazebo, ora deve darsi una base politica. Soprattutto deve rincuorare il corpo militante dopo un uno-due micidiale: l’entrata al governo con la Lega e l’abbandono improvviso e traumatico di Zingaretti. Letta sa che alle amministrative del prossimo autunno «si gioca l’osso del collo» (parole sue) e per prima cosa vuole contare su quello che c’è, il popolo democratico. I candidati delle grandi città, gli uomini e le donne che potrebbero diventare i volti del «nuovo Pd», per il momento invece non arrivano, al netto della seconda corsa di Beppe Sala a Milano.

I tesserati al centro

La pandemia per ora vieta gli spostamenti. Per parlare con la base Letta ha chiesto di istituire un confronto con gli iscritti ogni due lunedì su RadioImmagina, la webradio diretta da Andrea Bianchi. Ieri il primo è stato tutto dedicato a loro, popolo bistrattato da un partito affaccendato in altro e da uno statuto che li equipara ai votanti. «Gli iscritti torneranno centrali», promette, il tesseramento sarà «qualcosa di diverso dal passato. Non abbiamo colto la necessità di dare ai nostri tesserati quella centralità che è condizione per avere partito vivo, abbiamo preferito parlare agli elettori, piuttosto che agli iscritti, che si sono sentiti avere un ruolo inferiore». Da adesso in avanti «gli iscritti saranno il cuore di tutto: saranno loro a decidere sulle grandi questioni, se uno si iscrive conterà». Il rapporto fra il centro e la base «sarà rovesciato», non più «controllo ma ascolto, ascolteremo dalla base come intervenire sulle riaperture e sul lavoro». In queste ore alla sede del Pd si «processano» attraverso «l’intelligenza artificiale» i vademecum inviati dai territori. Trentanovemila i partecipanti alla discussione, un risultato giudicato «impressionante». Sabato prossimo, 17 aprile, una nuova Assemblea nazionale discuterà dei temi che i militanti propongono come prioritari. L’elaborazione dei risultati delle schede non è ancora compiuta, ma già è chiaro che la parola chiave è «lavoro». È quella più usata, spiega chi si sta occupando del dossier, viene utilizzata in modo trasversale sia per uscire dalla crisi economica che come possibilità di superare il gap di genere.

Sabato però Letta promette di lanciare anche «le Agorà Democratiche che cominceranno il primo luglio e si concluderanno a dicembre, per discutere del futuro della democrazia». La definizione dell’oggetto misterioso «agorà» sarà affrontata più avanti. Il punto del vademecum che riguarda questa innovazione (il punto 21) non può essere affrontato con l’aiuto dell’intelligenza artificiale. Anzi, se Letta non starà attento l’idea rischia di essere l’esatto contrario della restituzione della centralità ai militanti. Ma non c’è rischio, viene spiegato. Fra le principali proposte dei territori c’è infatti l’apertura alla società organizzata. Il «nuovo Pd» sarà costruito come un insieme di cerchi concentrici. E le agorà saranno un secondo cerchio che servirà a «catturare le energie della società».

Intanto la parola “agorà” si riempie di significati anche dentro il Pd. Per domani Goffredo Bettini ha organizzato una maratona oratoria per presentare il manifesto della sua «area politico-culturale» che si chiama proprio “Le Agorà”, dal titolo di un saggio che Bettini stesso ha scritto nel 2018. Non sarà una corrente, giura Bettini, e infatti all’evento parteciperanno anche Dario Franceschini, Andrea Orlando, Nicola Fratoianni, Roberto Speranza, Elly Schlein, Andrea Riccardi, Cecilia D’Elia, Gianni Cuperlo, Massimiliano Smeriglio, oltreché il padre dell’operaismo Mario Tronti e Nadia Urbinati. La coincidenza dell’utilizzo della parola agorà non è casuale. La maratona è il primo atto, il 29 aprile ci sarà un altro confronto, quello – fra gli altri – di Letta con Giuseppe Conte. Bettini è uno dei padri dell’alleanza Pd-M5s, quella che mezzo partito non ha digerito ai tempi di Zingaretti e che invece il nuovo segretario dà per scontata. Anche se per capirne i rapporti interni dovrà aspettare la fine del travaglio dei Cinque stelle. L’alleanza si dovrebbe misurare alle amministrative. Ma per ora è una strada in salita un po’ ovunque. Soprattutto a Roma dove si sta chiudendo la finestra di aprile alla fine della quale Letta aveva promesso di definire almeno i candidati alle primarie. L’ipotesi Zingaretti, che i sondaggi danno come migliore nome per il centrosinistra, si allontana (lui stesso la nega da sempre). Si va verso le primarie, con Roberto Gualtieri in pole position. Ma al primo turno neanche il centrosinistra sarà unito: Carlo Calenda ieri ha assicurato ancora una volta che non si ritirerà.

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