Prenderà la parola dalla sede del Nazareno alle 11 e 45, «non sarà un discorso breve», avvertono i suoi. Enrico Letta lavora tutto il giorno al testo, posta anche su twitter una foto davanti al computer: «A pensare e appuntarmi quel che dirò all’ Assemblea del Pd». Prima però, a mezza mattina, va al circolo di Testaccio, il suo vecchio circolo. In prima battuta i militanti del quartiere del centro di Roma, un tempo cuore rosso della Capitale, si erano dati appuntamento venerdì a pranzo, sotto casa dell’ex premier, per dargli il benvenuto. Ma l’appuntamento è stato sconvocato in cambio della promessa di un incontro. E, nella sede storica, all’angolo tra via Ghiberti e via Manuzio, lo hanno accolto con un striscione: «Daje Enrì, ripiamose ‘sti cocci». Il riferimento è all’intervista che il segretario in pectore ha dato venerdì sera a La7, alla trasmissione «Propaganda Live» di Diego Bianchi, che l’anno scorso lo era andato a intervistare a Parigi, a SciencePo, l’università che Letta ha diretto fino a pochi giorni fa. In tv Letta aveva detto: «Raccolgo i cocci ma non voglio vivacchiare». I «cocci» sono il simbolo di Testaccio, dove c’è un monticello composto dai frammenti delle anfore di olio, in terracotta, (in latino testae), accumulate in epoca romana. «Cosa vorreste sentirmi dire? Secondo voi da dove deve ripartire il Pd? Cosa è mancato in questi anni?».

A Letta è chiaro da dove deve ripartire per raccogliere i «cocci». «Sono davvero convinto che il Pd debba ricominciare ad ascoltare i suoi iscritti e non solo. C’è tanta gente fuori alla quale dobbiamo parlare», dice. All’assemblea oggi non ci sarà dibattito, «l’assemblea è seggio per statuto», spiegano al Nazareno dove ieri i funzionari impazzivano con le prove dello streaming: far collegare millecento persone sarà una sfida titanica. Quasi più di non impallinare un altro segretario, il nono. Dopo l’elezione Letta partirà in un giro «di ascolto» per i territori sulle proposte che farà oggi. «Faremo sintesi e ripartiremo tutti insieme», promette. «Faremo presto un’assemblea in questo circolo», ripete ai suoi testaccini, «dopo il mio discorso partiranno due settimane di ascolto in tutti i circoli». Alla fine del giro sarà convocata un’altra assemblea nazionale. Lì ci sarà «il dibattito», e si passerà al dossier «vicesegretari». Uno o forse due. Negli scorsi giorni l’area dell’ex segretario, sterminata nell’assemblea nazionale ma minoritaria nei gruppi parlamentari, ha puntato su Nicola Oddati. In ballo c’è anche Debora Serracchiani, l’ex vicepresidente vicina a Graziano Delrio che ha rinunciato a candidarsi benché alcune compagne di partito chiedessero una candidatura di donna. Circolano anche i nomi di Roberta Pinotti, franceschiniana, e di Peppe Provenzano, vicino ad Andrea Orlando. Si sfila dalla lizza la fin qui molto pugnace area degli ex renziani, «deciderà lui, come crede» viene spiegato. Deciderà Letta. La fila di quelli che gli chiedono un colloquio è lunghissima. Ascolterà tutti, promette.

La tregua è già rotta

La pax correntizia è solo apparente. O forse è già saltata, se mai era stata siglata. Ieri si è alzata maretta sul documento con cui la maggioranza oggi ufficializzerà la proposta della candidatura Letta. A ieri c’erano già circa 600 firme, dalle aree Zingaretti, Franceschini, Orlando, Ascani e Delrio. Dems, l’area di Orlando, ha messo insieme tutti i suoi delegati: 260 dei 653 della maggioranza.Filtrano i numeri, fioccano le contestazioni: le correnti si vogliono ‘pesare’. La minoranza di Base riformista, quella di Lorenzo Guerini e Luca Lotti non la prende bene e fa rimbalzare all’Agi un commento poco amichevole: «Non stiamo facendo nessuna raccolta firme, nessuno ci ha contattati», «raccogliere le firme da parte delle aree politiche del Pd non fa bene alla candidatura», «non vogliamo mettere in difficoltà il segretario con documenti di parte», «chiunque voglia sottoscrivere può farlo scrivendo alla presidenza. Ci sottraiamo, invece, a questo genere di raccolte firme».

Il documento della discordia

Il documento contestato, che rompe subito la tregua fra le correnti, che pure si apprestano a votare all’unanimità Enrico Letta, è infatti molto segnato dalle posizioni dell’ex maggioranza di Zingaretti. Chiede «un segretario vero e non un traghettatore», al quale, nel pieno della pandemia, affida il compito di «continuare a sostenere con la massima lealtà il governo Draghi. Con le nostre idee, i nostri valori», le parole tante volte usate da Zingaretti. Chiede di «incoraggiare un clima di unità e di solidarietà attorno allo sforzo nazionale per il riscatto dell’Italia» ma anche di respingere «le incursioni della Lega». L’allusione è a quegli esponenti, come Stefano Bonaccini, che hanno appoggiato la richiesta di Salvini di riaprire i ristoranti, prima che una estesa fascia rossa avvolgesse l’Italia e chiudesse la questione. Nel testo si parla anche di alleanze in una maniera che le minoranze speravano di archiviare: al nuovo segretario viene chiesto di «mantenere un rapporto positivo con l’arco di alleanze consolidate a sinistra; con il M5S che sarà investito da una trasformazione molto grande, con la leadership di Giuseppe Conte»; con le formazioni laiche, liberali, moderate e di centro disponibili». Una maniera che però sembra già nelle corde di Letta. «Serve una discussione vera, sincera», è l’ultimo passaggio, «di merito, politica e culturale», «Non serve, al contrario, dopo l’elezione di un nuovo segretario autorevole, procedere a nuove primarie». Un dito nell’occhio a Base riformista e ai Giovani turchi che chiedevano il congresso, prima di deporre le armi e dire sì senza condizioni a Letta. Il segretario non ha potuto contare in un giorno di pace fra quelli che deve dirigere. Neanche alla vigilia della sua elezione.

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