«Se parla di Ius soli vuol dire che vuole far cadere questo governo». Matteo Salvini attacca di nuovo il neosegretario del Pd Enrico Letta. «Solo uno che arriva da Parigi o da Marte, in un paese con le scuole chiuse, gli asili chiusi, le università chiuse, le fabbriche in difficoltà e gli italiani che hanno problemi di salute fisica e mentale, si occupa di regalare cittadinanza agli immigrati». Il leader leghista alza un fuoco di fila contro l’approdo in aula dello «ius culturae», la definizione più attuale delle proposte di nuova cittadinanza in commissione. In realtà sa che Letta non sta mettendo in pericolo l’esecutivo Draghi, «è il nostro governo, è la Lega che deve spiegare perché lo vota», ha esplicitato domenica Letta.

Anche perché il presidente del Consiglio ha chiarito sin dal suo insediamento che il governo si terrà fuori dalle riforme che il parlamento vorrà votare. «Non è certo Salvini a decidere di cosa possa o non possa parlare io, o il Pd o un intero paese, civile. I ricatti li tenesse nel suo armadietto, accanto alle felpe», replica il deputato dem Filippo Sensi. Intanto Letta si prende incoraggiamenti inconsueti per il Pd: da monsignore Giancarlo Perego, arcivescovo di Ferrara e per anni direttore della fondazione Migrantes della Cei, a Luca Casarini, capomissione di Mediterranea. Ieri pomeriggio il segretario è entrato al Nazareno per la prima volta da leader. «Leggo, telefono, scrivo», ha detto. Poi ha sentito al telefono gli esponenti delle destre: Giorgia Meloni, Giovanni Toti, Antonio Tajani e Maurizio Lupi. Forse lo stesso Matteo Salvini. Una scelta di stile e civiltà politica. Anche se gli attacchi dalla destra, sin dall’esordio, sono medaglie per un Pd che vuole sottolineare di stare dalla parte opposta della Lega.

Il vademecum

In serata poi è arrivato il «vademecum» che aveva promesso ai circoli. Un documento semplice, in 21 punti, per cominciare a praticare le due parole d’ordine lanciate domenica: «partecipazione» e «prossimità». Entro quindici giorni i circoli dovranno inviare una risposta in cento parole. L’ultimo punto è sulle «agorà», le assemblee composte da interni ed esterni: viene chiesto potrebbero essere organizzate, in presenza – quando la pandemia lo consentirà – e da remoto. Un antipasto della scelta di rendere gli iscritti compartecipi del «nuovo Pd». Le risposte saranno lette e studiate e fra due, forse tre settimane, verrà convocata una nuova assemblea nazionale per discutere e decidere gli esiti. Ma anche per votare i vicesegretari. Difficile che almeno uno non sia una donna.

In attesa delle decisioni, ieri i componenti della segreteria decaduta hanno liberato le stanze in attesa dei nuovi inquilini.

Al momento tutto il Pd è in attesa delle sue decisioni. I toni della discussione interna sono improvvisamente bassi.

Il gruppo dirigente Pd sa che il segretario tornato da Parigi è forse l’ultima carta per raddrizzare il piano inclinato su cui il partito stava scivolando, anche nei sondaggi. Lo si capisce anche dalle dichiarazioni dei sindaci che avevano messo sulla graticola Nicola Zingaretti e che ora cambiano musica: per il fiorentino Dario Nardella quella che si apre nel Pd è «una fase avvincente» a cui offre «una mano».

Intanto, sempre con cautela massima, si passa al vaglio il discorso di insediamento per capire il programma del «nuovo Pd». Il costituzionalista Stefano Ceccanti, per esempio, segnala il gol per il maggioritario. Letta alla trasmissione Che tempo che fa (Raitre), ha evocato il Mattarellum. «Era già evidente con la formazione del governo Draghi che l’opzione per un sistema proporzionale che non prevedesse coalizioni pre-elettorali avesse esaurito le sue possibilità», dice il deputato, «ora però l’impostazione di Letta, chiarita senza equivoci da Filippo Andreatta (il figlio di Beniamino, ndr), la esclude anche in termini di desiderabilità. Sulle soluzioni in positivo, da trovare con ampio consenso, poi si vedrà».

Proporzionalisti erano, almeno fino agli ultimi tempi, i Giovani Turchi, ma anche quella di Dario Franceschini. La legge elettorale «ha un peso rilevante», spiega il senatore Antonio Misiani a Radio Immagina, la web radio del Pd, sulla questione delicata delle alleanze. Le minoranze chiedevano di freddare il dialogo con i Cinque stelle di Conte. Ora invece si dichiarano rassicurate dall’impostazione di Letta, che prosegue quella di Zingaretti, senza però coincidere perfettamente: «Letta ridisegna con grande serietà profilo e posizionamento del Pd. Il centrosinistra, quello vero, come punto di partenza», spiega Matteo Orfini. Invece Roberto Speranza, ministro della salute ma anche segretario di Art.1, prende la palla al balzo e invita il Pd a un confronto ravvicinato, anche più di quanto non intendesse Letta, per «un percorso costituente» di un nuovo centrosinistra.

Fra i punti programmatici c’è il contrasto «all’allargamento del divario tra nord e sud». Domenica scorsa Letta ha chiaramente fatto intendere che si riparte dal lavoro fatto dal ministro Peppe Provenzano. Una delle poche volte in cui ha citato il governo Conte, peraltro.

Reddito di cittadinanza, politiche industriali, sistema previdenziale: le ex minoranze sono convinte che alla lunga Letta, vicino all’agenda Draghi, darà più dispiaceri all’ala sinistra del partito che agli ex renziani. Il segretario ha chiesto di elaborare «idee nuove in economia», fra le altre «una nuova modalità in cui far condividere al lavoratore, al manager e all’azionista il destino dell’impresa, far sì che i proventi arrivano anche al lavoratore». Una proposta che piace ai sindacati. Il segretario Cgil Maurizio Landini si subito dichiarato pronto al confronto.

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