Non si vedevano dal 2014, dal famoso scambio della campanella a palazzo Chigi che è diventato un’immagine-simbolo dell’arrembaggio con cui Matteo Renzi, pochi giorni dopo il tweet «Enrico stai sereno», ha scalzato Enrico Letta dalla presidenza del Consiglio. I due si sono rivisti martedì mattina a Roma, alle 9 e mezza nella sede dell’Arel, al riparo dalle telecamere. E infatti dell’incontro, durato quaranta minuti, non ci sarebbero foto né ufficiali né ufficiose. Ma non è stata una riappacificazione e non c’erano da regolare vecchi conti. Per l’attuale segretario del Pd, spiegano dal suo staff, «la situazione del paese è così difficile e seria che non c’è spazio per guardare indietro e mantenere pregiudizi o rancori pregressi». Del resto non c’è bisogno di rivangare il passato per misurare le distanze anche oggi. Dallo staff di Letta filtra che l’incontro è stato «franco e cordiale», Matteo Renzi dalla tv – il leader di Italia viva si è precipitato a La7 per cercare di massimizzare la visibilità, dopo che per giorni di lui si è parlato solo per i suoi viaggi d’affari – ha rincarato: «Sono d’accordo, molto franco e molto cordiale». Un’espressione che, tradotta dalle liturgie della politica, significa una cosa un po’ diversa: non è andato tutto bene.

Il veto sul M5s

Infatti fra gli ovvi punti di accordo – l’appoggio al governo Draghi, l’accelerazione del piano vaccinale e le iniziative economiche e sociali legate all’emergenza – viene riferita «una divergenza forte e profonda sul ruolo di Conte e dei Cinque stelle». Renzi fin qui non immagina alleanze politiche con l’ex alleato di governo, forse neanche locali. Letta invece sente la responsabilità di tentare ogni soluzione per stringere un’alleanza che permetta al Pd di tornare a vincere, dalle amministrative d’autunno – dove sarà possibile – fino alle future politiche. Se democratici e Cinque stelle costruiranno un’alleanza, è il ragionamento, sconfiggere il blocco FdI-Lega non è impossibile. Diversamente la partita è persa in partenza. Per questo il neosegretario dem, sin dall’inizio del suo giro di incontri con i leader “amici”, ha chiarito che «non ci sono spazi per veti». Renzi invece dice che nel 2023 non vuole stare «né con Salvini e Meloni ma nemmeno con i populisti a sinistra». Per lui questi o quelli pari sono. Intanto si complimenta con Letta per essere passato a un approccio «non più subalterno con i Cinque stelle». Una palese allusione al suo predecessore, Nicola Zingaretti. La verità è che per ora Iv sopravvive grazie ai tatticismi del suo leader, ma presto dovrà fare i conti. I sondaggi, mai generosi, danno il partito in picchiata. E affiorano le preoccupazioni dei parlamentari, non tanto per un disimpegno di Renzi, quanto per la nonchalance con cui il leader sta assecondando l’irresistibile discesa del suo movimento.

L’incontro con Zingaretti

La vicenda delle alleanze politiche comunque è argomento che riguarda più il futuro che il presente. Non fosse altro perché l’alleato – i Cinque stelle – è in pieno travaglio da rifondazione. Lo stesso ruolo di Giuseppe Conte ancora non è definito. Vicina invece, anzi vicinissima, è la definizione delle partite locali. Al suo insediamento Letta ha promesso che entro aprile avrebbe fatto un punto sulle città che andranno al voto. Aprile è arrivato. Il prossimo sabato 17 è convocata l’Assemblea nazionale che dovrà votare – in genere ratificare – la nuova segreteria e le altre nomine fatte finora. Saranno discussi anche i risultati della campagna di ascolto dei circoli e i risultati dei “vademecum”. E si parlerà di amministrative.

C’è innanzitutto la questione romana, la partita su cui Letta sa di giocarsi «l’osso del collo». L’ex ministro dell’Economia Roberto Gualtieri è pronto a candidarsi passando per le primarie. Ma dopo lo stop ricevuto dallo stesso segretario ora aspetta disciplinatamente un suo via libera. Circola voce che potrebbe proporre un ticket alla consigliera regionale Michela De Biase, giovane e combattiva esponente di Areadem (e moglie di Dario Franceschini, lo scriviamo per ovvie ragioni di cronaca).

Ma c’è l’incognita Zingaretti. Il nuovo segretario non ha fatto mistero dell’amicizia e della stima che lo lega al predecessore. Le voci di una corsa del presidente della regione Lazio continuano a circolare in città. I suoi negano seccamente. Eppure sabato scorso, vigilia di Pasqua, Letta e Zingaretti si sono sentiti e hanno parlato di Campidoglio. Sul confronto dal Nazareno arriva un «no comment». Dallo stretto giro dell’ex segretario si minimizza. «Non c’è nulla di nuovo», viene assicurato, «Letta e Zingaretti ogni tanto si scrivono, ma Nicola non pensa affatto a una corsa per fare il sindaco di Roma. Resterà in regione».

Da più parti viene anticipato che per la scelta del candidato dem al Campidoglio – fatte salve le primarie – questa sarà la settimana decisiva. Zingaretti non avrebbe chiuso la porta, del resto anche in altre svolte della sua storia politica ha impiegato tempo per imboccare la via nuova. Ci sarebbero ancora due o tre variabili da valutare, fra le quali la possibile intesa con il M5s almeno per il ballottaggio, e il rapporto con Carlo Calenda – che come la sindaca Virginia Raggi è solidamente in campo e assicura che non si ritirerà, chiunque sarà il candidato dem. Fantasie, secondo gli uomini vicini al presidente. Ma in settimana è in agenda un altro incontro al Nazareno. Del resto c’è chi spiega che per la decisione finale Letta più avanti di aprile non vuole andare. E che questo incontro sarà quello definitivo.

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