Nel campo della sanità pubblica, Domenico Mantoan è uno dei dirigenti più stimati e influenti del paese. Fino a due mesi fa braccio destro di Luca Zaia come potente direttore generale dell'area della regione Veneto, nel 2019 fu nominato dal governo Pd-M5S presidente dell’Aifa, l'agenzia italiana del farmaco. Da pochi giorni Mantoan ha aggiunto un altro incarico al suo curriculum, ed è stato promosso dal ministro della Salute Roberto Speranza direttore dell’agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, l’Agenas.

«Mantoan è stato il Rasputin del governatore leghista, l'ideatore del “modello veneto” che ha battuto il Covid», lo descrivevano i cantori lo scorso giugno, quando il dirigente e la sua nemesi Andrea Crisanti – il microbiologo si era scontrato con lui in merito alla politica dei test a tappeto sugli asintomatici – erano stati innalzati a esempi virtuosi nella battaglia contro il coronavirus.

Ora Domani ha scoperto che l’immagine del boiardo di Stato, che si considera tecnico indipendente e da tempo si è avvicinato al centrosinistra, potrebbe subire qualche contraccolpo. A causa di un’inchiesta della procura di Padova su un misterioso incidente che coinvolse Mantoan e il suo autista personale Giorgio Angelo Faccini, e sulle bizzarre vicissitudini a questo seguite.

È notorio che qualche mese fa i magistrati padovani abbiano chiesto il rinvio a giudizio dell’ex primario Massimo Montisci, accusato di falso, favoreggiamento e truffa per aver – questa l'ipotesi dei pm – scritto una falsa perizia medica per scagionare l’autista del dirigente sanitario. Ma nessuno finora sapeva che un’informativa della polizia giudiziaria ha ipotizzato che anche Mantoan sia stato coinvolto direttamente nella storiaccia, e che si sia «da subito attivato...per alleggerire la posizione del suo autista di fiducia».

Il depistaggio

Andiamo con ordine, partendo da una mattina di fine estate di quattro anni fa. A Padova, il funzionario preferito di Zaia è seduto sul sedile posteriore dell’auto blu della Regione, una Fiat Bravo, guidata da Faccini. Il 13 settembre 2016 la macchina fa una manovra spericolata, forse un’inversione a U, e investe in pieno un pensionato in sella a uno scooter, Cesare Tiveron.

L’uomo, 70 anni, muore in ospedale dopo poco. Quando la procura chiede accertamenti tecnici e un’autopsia per comprendere dinamica e motivi del decesso, entra in campo Montisci. Non un perito qualunque, ma un luminare, da anni direttore dell’istituto di medicina legale dell’università di Padova. Dopo quasi un anno il professore arriva a conclusioni che lasciano basiti i familiari della vittima: per lui il pensionato non sarebbe morto a causa dell’incidente con la macchina blu su cui viaggiavano Mantoan e l’autista, ma per un infarto naturale. Avvenuto proprio mentre guidava la moto, pochi attimi prima dell’impatto con l’auto. Di conseguenza, Faccini non sarebbe responsabile di omicidio stradale.

Il magistrato incaricato legge le deduzioni, ma non crede alla correttezza della perizia. Così ne ordina subito una seconda, firmata da cinque esperti di fama, che stabilisce che Tiveron non è deceduto a causa della rottura dell’aorta, ma per le conseguenze dell’incidente. Faccini viene dunque rinviato a giudizio per omicidio stradale colposo, mentre il professore Montisci e un medico del 118, Giacomo Miazzo, sono oggi a processo per falso, favoreggiamento e truffa.

Presunti mandanti

Ora si scopre che la polizia giudiziaria della procura di Padova scrive che il presunto falsario non sarebbe stato l'unico funzionario a cercare di “aiutare” l'autista della regione Veneto. «Si ritiene che il dottor Domenico Mantoan, acquisite in ambito ospedaliero i precedenti cardiaci di cui aveva sofferto Cesare Tiveron» si legge in un’informativa «si sia attivato subito con gli organi di stampa e successivamente presso il dipartimenti di medicina legale (è conclamato il rapporto con il professor Santo Ferrara, all'epoca peraltro nominato C.T. dell'indagato Faccini Giorgio) per fornire una versione che potesse alleggerire la posizione del suo autista di fiducia».

Gli investigatori ritengono nella nota ai pm «quanto meno improbabile» che Montisci abbia deciso «di sua sponte di produrre la consulenza tecnica oggetto di indagini, atteso che non è stato accertato nessun rapporto diretto tra il predetto e il Faccini, ma che si tratta di una scelta indotta/richiesta da soggetti vicino allo stesso con i quali vanta/vantava un rapporto fiduciario». La polizia giudiziaria fa riferimento a Mantoan, e segnala alcuni sms che proverebbero alcuni incontri tra il professore e il dirigente zaiano. Infine, concludono: «Le indagini sin qui svolte hanno permesso di individuare ed accertare gravi indizi di responsabilità penale in ordine ai reati ascritti in capo al professor Montisci, mentre necessitano di ulteriori indagini gli accertamenti sul movente e su coloro che si ritiene possano essere i mandanti della condotta incriminata».

Dalla procura non fanno alcun commento: non sappiamo dunque se le indagini successive abbiano chiarito definitivamente la posizione di Mantoan oppure se le attività siano ancora in corso. Dalla regione di Zaia e dal ministero della Sanità temono che il dirigente possa ora essere attaccato ingiustamente, e evidenziano come sia improbabile che lo zar della sanità veneta abbia messo a rischio la sua carriera per depistare un’inchiesta che lo vedeva del tutto estraneo, «visto che l’auto in cui viaggiava era assicurata e l’autista non era certo un suo parente».

Sentito al telefono, Mantoan dice di non essere mai stato sentito dalla procura, di non aver ricevuto avvisi di garanzia e di essere tranquillo. «Escudo categoricamente di aver tentato, in qualsiasi modo, di alleggerire la posizione del mio ex autista. Quello che lei mi legge mi lascia basito. Sono tirato dentro questa vicenda solo perché ero nell'auto, ma le assicuro che dopo il drammatico incidente mi sono disinteressato della questione. Montisci poi è stato nominato perito dalla procura, non da me. Qualcuno ha ipotizzato comportamenti non meno che corretti da parte mia? Ha preso un grosso abbaglio. Spero solo che questa faccenda, dopo cinque anni, finisca di perseguitarmi».

 

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