Da un paio di anni, ogni due o tre settimane, qualche giornale segnala la “notizia” di un incremento nei consensi per Fratelli d’Italia. La vera notizia sta nel grafico riprodotto in questa pagina che certifica l’impressionante continuità dell’ascesa. Si dice Fratelli d’Italia ma si pensa a Giorgia Meloni, dato che nella percezione comune sono la stessa cosa e che per ora possiamo farci un’idea del partito quasi esclusivamente attraverso le iniziative della sua leader. Giorgia Meloni nasce e rimane una combattiva militante della destra romana. Benché avesse solo 15 anni, nel 1992, ha fatto in tempo a iscriversi al Fronte della gioventù, poco prima che cambiasse nome.

Già nel 1996 è responsabile nazionale di Azione studentesca e dal 2001 a capo di Azione giovani, l’organizzazione erede del Fronte dentro Alleanza nazionale. Nel 2006, meno che trentenne, viene “nominata” da Gianfranco Fini vicepresidente della Camera, nel 2008 ministro della Gioventù da Silvio Berlusconi che subito dopo la mette a capo dell’organizzazione giovanile del Pdl. Rimane nel Pdl con Berlusconi, quando Fini rompe e viene “cacciato”, ma poi lo abbandona anche lei perché il Cav si rimangia la promessa di primarie interne per la leadership a cui la Meloni avrebbe voluto partecipare.

L’inizio

L’esordio di FdI alle politiche 2013 non è un granché: 2 per cento. Ma a ogni elezione generale successiva guadagna qualcosa: 3,7 (europee 2014), 4,4 (Camera 2018), 6,5 (Europee 2019). È anche vero, però, che dal 2014 al 2019, per cinque anni, il partito rimane stabilmente imbullonato nelle intenzioni di voto intorno al 4 per cento, meno del Msi, che anche quando Giorgio Almirante riempiva le piazze prendeva tra il 5 e il 6 per cento, e parecchio distante da An, partito che tra il 1994 e il 2006 ha raccolto intorno al 12 per cento dei voti, con un temporaneo balzo vicino al 16 per cento nel 1996.

Da inizio 2019, invece, le intenzioni di voto per FdI cominciano a registrare un’ascesa costante. Hanno continuato a crescere per tutta la prima metà del 2019 mentre il Pd stava recuperando, Matteo Salvini era ancora al top e a perdere consensi erano solo Forza Italia e Cinque stelle. Dopo la crisi di governo estiva di quell’anno, FdI è l’unico partito che continua a progredire (con lo stesso ritmo dei mesi precedenti) ma d’ora in poi soprattutto grazie a un travaso di voti persi da Salvini. Detto per inciso, questa tendenza già chiara a partire dall’inizio del 2019 e mai finora interrotta confuta la leggenda secondo cui parte del successo sarebbe dovuto, contro le intenzioni degli autori, alla diffusione del remix «io sono Giorgia», che prende frasi da un comizio tenuto a Roma a ottobre 2019 e ha avuto il picco delle visualizzazioni a novembre. Un tormentone anche virale non può raggiungere tanto, nemmeno nell’era dei social.

Il confronto con Salvini

Le differenze con Salvini del resto sono di stile, di modi, misure, più che di linea politica o messaggi di fondo. Anche ora che sono uno dentro e uno fuori dal governo, hanno spesso posizioni simili. In Europa sono ancora in gruppi politici diversi, ma più per casuali circostanze che per affinità elettive. Controllando i dati rilevati a gennaio nell’ambito di una ricerca Cattaneo-Feps/Fes, vedo che anche dal punto di vista degli atteggiamenti dei due rispettivi elettorati su temi politicamente salienti come l’Europa, l’immigrazione, il dilemma tra sicurezza sanitaria e libertà di movimento, presentano un notevole grado di sovrapposizione. Tuttavia, l’elettorato della Meloni è più urbano e meno rurale rispetto a quello leghista, presenta una quota maggiore di diplomati o laureati, oltre a essere meglio distribuito tra nord e sud. Con due apparenti paradossi: l’unico partito italiano con una leader donna ha più successo tra gli uomini, nonostante i vari ruoli della Meloni nei movimenti giovanili, ha più successo tra gli over che tra gli under 35.

Il futuro

Non sappiamo come Giorgia Meloni potrà e vorrà investire il patrimonio di consensi che sta accumulando, dopo le prossime elezioni politiche. Non sappiamo neppure come si sta popolando lo strato in crescita dei dirigenti e degli eletti. Per il momento credo però si possa escludere che, nonostante la biografia personale della leader e la retorica nazionalista, si tratti di un ritorno della destra missina o di un ritorno ad An. Non è neppure una imitazione della destra radicale nord europea. Qualcosa di tutto questo ma, a prima vista, piuttosto l’occasione, offerta dai limiti di Salvini, per partecipare con altri mezzi a quelle primarie che Berlusconi le ha negato dentro il Pdl. Volendo cercare in Europa qualcosa che assomigli alla sua possibile traiettoria, piuttosto che Marine Le Pen, viene in mente la leader conservatrice del Ppe appena uscita vincitrice dalle elezioni regionali a Madrid. Con la differenza che se Isabel Díaz Ayuso fosse romana verrebbe da una benestante famiglia della destra pariolina. Mentre Meloni viene dalla militanza di base alla Garbatella.

© Riproduzione riservata