Sabbadini: «Giovani più poveri e precari. La politica non investe su loro»

«Io non corro dietro alle etichette generazionali, come generazione Z: rischiano di forzare i vissuti reali. Sono una donna di numeri e parto dalla realtà. Nascere negli stessi anni non significa avere necessariamente lo stesso sentire. E quando guardiamo ai giovani tra i 18 e i 25 anni, il primo dato che emerge è una forte eterogeneità». A Linda Laura Sabbadini, statistica ed ex direttrice Istat, autrice di Il paese che conta (Marsilio) chiediamo una lettura del sondaggio Swg per Domani su giovani e politica, pubblicato negli scorsi giorni. «Questa eterogeneità emerge anche negli orientamenti politici: un’ampia quota non si colloca politicamente, ed è al primo posto. Poi un’analoga presenza di centrodestra e centrosinistra, tra il 22 e il 26 per cento, e un 12 al centro. Non c’è una grande differenza con gli adulti. D’altro canto l’Istat ci dice che solo un terzo dei giovani si informa di politica almeno una volta a settimana». «Cara politica, a cosa servi?»: i giovani tra speranze e paure Dalla ricerca risulta che i principali valori per gli under 25 sono lavoro e sicurezza. Nessun valore raccoglie la maggioranza. Lavoro e sicurezza caratterizzano soprattutto i ragazzi di centrodestra. Per quelli di sinistra l’unico valore maggioritario è l’ambiente, mentre il lavoro pesa molto meno, nonostante sia un tema centrale nelle politiche di sinistra. Per capire meglio servirebbero i dati sull’estrazione sociale, ma il dato colpisce. Anche la democrazia risulta essere un valore poco sentito. Potrebbe essere inquietante. Bassa è anche la segnalazione della solidarietà. Non sappiamo se dipende da scarsa conoscenza, da poca importanza attribuita, oppure dalla presenza di tante voci che sono un “di cui” della democrazia, come diritti civili, uguaglianza, i tre aspetti forse si combinano. Il riferimento nel quesito alla situazione nel mondo rende più complesso rispondere. Avremmo bisogno di sapere che conoscenza hanno della situazione mondiale. Il 40 per cento dei giovani non si “colloca”: la politica non li convoca? Il problema è più ampio: riguarda tutta la partecipazione sociale, scesa molto dopo la pandemia. La politica non catalizza i bisogni per la maggioranza dei giovani che si informano poco. Le fasce più attive socialmente nella popolazione sono quelle che hanno vissuto le battaglie per la conquista dei diritti e più avanti in età e che percepiscono di più che, se questi non si difendono, si torna indietro. Gli Stati Uniti ce lo stanno mostrando. Ci sono segnali nuovi. Vedremo se si consolideranno. Giovani in fuga dalle urne. Conte e Sánchez i leader più amati Cosa ha cambiato il Covid? Ne parlo a lungo nel libro. Ha colpito duramente il benessere psicofisico dei giovani, soprattutto degli adolescenti, tanto che non siamo tornati ai livelli precedenti. Il bonus psicologo fu usatissimo: segnalava un bisogno forte percepito dalle famiglie e dai ragazzi. La didattica a distanza ha penalizzato soprattutto alcuni segmenti, nonostante i grandi sforzi di scuole e insegnanti. Sulla violenza di genere alla Camera c’è stato il sì bipartisan al «consenso espresso», ma all’educazione affettiva la destra dice no. Sono molto contenta dell’accordo bipartisan sul consenso, lo avevamo richiesto con forza come Women20: dimostra che su punti cruciali si possono costruire alleanze trasversali. E questa strada va sempre perseguita. Sull’educazione affettiva va detto con chiarezza che è un tema molto sentito dai giovani e dalle famiglie. L’omicidio di Giulia Cecchettin ha generato una forte presa di coscienza: al numero 1522 sono arrivate molte chiamate di ragazze ma anche di genitori. È assurdo che ostacoli ideologici blocchino una risposta responsabile a un bisogno fondamentale: farne una materia obbligatoria sia in termini di educazione alle relazioni, contro ogni cultura del possesso, sia in termini di informazione sessuale. Accordo bipartisan: il sesso senza consenso è stupro. Ma per un uomo su quattro la violenza è ancora giustificata Ci sono le politiche per i giovani? Non c’è una strategia adeguata, e non c’è stata. I giovani tra 25 e 34 anni non hanno ancora recuperato il tasso di occupazione del 2008. Sono i più penalizzati nei salari e nella precarietà insieme a donne e Sud. Dopo i minori, i giovani sono la fascia più povera: la loro povertà dal 2012 è quasi triplicata e non è più tornata ai livelli precedenti. È il segno di un paese che da decenni non valorizza risorse cruciali come giovani e donne. Una violenza che riguarda tutti, raccontare il femminicidio Cecchettin Nel suo libro racconta come le statistiche abbiano reso visibili disuguaglianze prima invisibili. Quando entrai in Istat era un ente economico-centrico: si misurava l’economia, non la vita sociale. Non c’erano dati sulla qualità della vita di donne, minori, anziani, disabili, poveri, persone lgbtq+. Si contavano le ore di lavoro retribuito, non di quello familiare. Se i numeri ufficiali non misurano un fenomeno, quel fenomeno non entra nel dibattito pubblico né nelle politiche. Dagli anni 90 è stata avviata una rivoluzione: oggi questi dati ci sono, ma si usano ancora troppo poco. Si legifera “a prescindere”? I dati servono ai cittadini per esercitare la loro libertà. Spesso però vengono usati per confermare la propria tesi politica, specie dai partiti: è sbagliato. La statistica ufficiale è un pilastro della democrazia. Permette ai cittadini di valutare i risultati dei governi. E ai parlamenti di valutare quali politiche adottare. È il cuore del mio libro. Non è un caso che a volte venga attaccata: è scomoda. È successo negli Usa di Trump con il licenziamento della direttrice del Bureau of Labor Statistics perché a Trump non piacevano i numeri dell’occupazione; era già accaduto nella Gran Bretagna di Thatcher, quando il suo governo non finanziò più l’indagine sulla povertà dell’Office on National Statistics perché non era nel suo programma la lotta contro la povertà. Ma i cittadini hanno diritto di saper se la povertà è alta o bassa. È successo in Argentina, nella Russia di Stalin quando fece uccidere il capo dell'istituto di statistica e il suo staff per aver pubblicato i dati del crollo della popolazione ucraina dovuta ai 6 milioni di morti da lui causati. Bisogna investire sugli Istituti di statistica, altrimenti si perdono informazioni di alta qualità e vincono i fake number. Gli istituti di statistica sono presidi di democrazia: vanno finanziati e difesi nella loro indipendenza, altrimenti i più vulnerabili, gli invisibili conteranno sempre meno, perché avranno meno voce. [Missing Caption][Missing Credit]