La riunione inizia alle 16. Ci sono il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, e la sottosegretaria Marina Sereni. Dopo un’ora di confronto fra deputati del Pd, Matteo Orfini spiega che ha capito, e bene, quello che da un’ora stanno dicendo alcuni colleghi. Ma non va bene: «Un conto è dire che dobbiamo stare in Libia. E un conto è riconoscere l’evoluzione positiva della stabilizzazione politica in Libia. Va bene. Ma un altro conto è continuare con una strategia di contenimento dei flussi attraverso l’esternalizzazione delle frontiere che è servita solo a produrre una strage di diritti umani. Un anno fa abbiamo preso un impegno tutti, dal ministro Di Maio alla sottosegretaria Marina Sereni al governo di allora. Ma tutti questi impegni sono stati disattesi». La proposta è quella di non votare la “Scheda 48” del fascicolo del rifinanziamento delle missioni militari. Con Orfini c’è un drappello di deputati di area.

Parlano Fausto Raciti, Giuditta Pini e Laura Boldrini. Ma a prendere la parola è anche Graziano Delrio, l’ex capogruppo. Le sue parole sono il segno di un’insofferenza dei cattolici del Pd non per la legge Zan, che in questa camera è stata votata senza obiezioni, ma per quello che Avvenire, il quotidiano dei vescovi, definisce in prima pagina «il patto disumano da non rinnovare», riferendo l’appello di ventinove fra Ong e associazioni di volontariato e della cooperazione.

Delrio è severo: «Non si capisce il senso di quella missione e perché un partito come il nostro debba sostenerla. Il Pd deve chiedere al governo di togliere quella scheda». Nel febbraio 2020 all’unanimità l’assemblea del Pd votò una mozione che diceva: «La Guardia costiera libica non esiste, come dimostrato da numerose inchieste giornalistiche e dagli stessi report delle Nazioni unite. È stato dimostrato come in realtà si tratti di milizie armate, spesso in lotta tra loro e molto spesso coinvolte in prima persona nel traffico di migranti e nella gestione dei lager». Per questa ragione non andava supportata. Da allora le notizie che confermano il disprezzo dei diritti da parte delle corvette libiche si sono moltiplicate.

Cosa dice la “Scheda 48”

La Scheda 48 contiene la terza delle quattro missioni in Libia. La prima, scheda 17, è la Unsmil, United Nations Support Mission, la seconda, scheda 18, è la Bilaterale di supporto, la quarta, scheda 47, è la Euban, l’assistenza alle frontiere. La terza è la «proroga della partecipazione di personale del corpo della Guardia di finanza alla missione bilaterale di assistenza nei confronti delle Istituzioni libiche preposte al controllo dei confini marittimi», ha l’obiettivo «di supportare (...) le autorità libiche preposte al controllo dei confini marittimi ai fini della prevenzione e repressione dei traffici illeciti via mare». La cosiddetta Guardia costiera non viene prudentemente chiamata per nome. La missione prevede «l’impiego di personale della Guardia di finanza in Libia per l’addestramento di personale appartenente alle Istituzioni libiche preposte al controllo dei confini marittimi; il mantenimento in esercizio delle unità navali appartenenti al naviglio libico».

L’Italia manda «n. 3 autovetture a trazione integrale blindate, nonché materiali di consumo e parti di ricambio per la manutenzione delle unità navali libiche; n. 1 unità navale (tipo Guardacoste “Classe Bigliani”) corredato da sistema di videosorveglianza per la difesa passiva, da impiegare in teatro libico dal 1° giugno al 31 dicembre 2021». Quindici militari saranno dedicati all’attività logistica e addestrativa e all’assistenza tecnica, altri venticinque costituiranno «una mini Scuola Nautica in Libia», e nove carabinieri si occuperanno della sicurezza dei finanzieri.

«Fabbisogno finanziario 10.479.140 euro». Dunque non solo l’Italia continua a finanziare i nostri finanzieri per addestrare («Non finanziamo la Guardia costiera» viene più volte esclamato alla riunione come risolutivo della questione) e supportare la sedicente Guardia costiera libica, ma i finanziamenti salgono. Erano 10 milioni lo scorso anno, 6,9 nel 2019 (quando il Pd si astenne sul rifinanziamento), 1,6 nel 2018 e 3,6 nel 2017, durante il governo Gentiloni che varò questo programma di collaborazione.

Il Pd verso il sì (tranne pochi)

«Non si può ridurre a una scheda un tema complesso come le nostre missioni in Libia. Questo decreto missioni è una evoluzione rispetto al passato. Innanzitutto oggi in Libia c’è un governo. Poi il Consiglio europeo su proposta dell’Italia lavora a un nuovo patto per l’immigrazione. Il Pd avrebbe voluto che tutta la missione passasse sotto il controllo di Irini, la missione navale europea a forte impronta italiana. Ma i 400 militari italiani supportano l’Ospedale di Misurata, lo sminamento e la bonifica dei quartieri di Tripoli, la missione “Mare sicuro” per la sicurezza degli spazi marittimi di interesse nazionale italiano. Solo quindici di loro sono impegnati sulla scheda 48», spiega Enrico Borghi, il deputato delegato da Letta a occuparsi del dossier. Il decreto arriverà alla Camera martedì prossimo. Per Borghi non sarà possibile “stralciare” la missione di supporto alla Guardia costiera dalla quarantina di altre missioni. Secondo le Ong c’è una cinquantina di parlamentari, fra Camera e Senato, che non le voteranno.

Dal Nazareno si sottolinea che il dossier è stato aperto sin dal momento dell’insediamento di Letta, «che considera la questione prioritaria». Ma è chiaro che sarà «un compromesso» – così viene definito – difficile da mandare giù per il premier di Mare Nostrum, che avrebbe chiesto ai suoi uomini di tentare le strade per interrompere questa collaborazione fra governo italiano e Guardia costiera libica incontrando «alcuni progressi» nel governo, ma lontani dagli auspici, in particolare al ministero degli Interni a cui fa capo la Guardia di finanza. Sulla Libia – si ragiona – al momento non c’è alternativa: «Se non ci siamo noi ci sono i turchi che certo non addestrano i libici a salvare vite.

La tragedia vera dell’Europa è l’assenza di una condivisione anche minima della questione. Come se otto anni, e migliaia e migliaia di morti, fossero passati invano». Letta è il segretario che ad aprile volle infilarsi una felpa della Ong Open Arms e farsi una foto con Oscar Camps, il suo fondatore. «Bello scambio di idee», aveva scritto su Facebook, «Tante preoccupazioni, e anche qualche elemento di speranza».

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