Tre deputati hanno ottenuto il bonus Covid-19 da 600 euro erogato dall’Inps, altri due lo hanno chiesto, senza riceverlo. La pubblicazione della notizia da parte di Repubblica, il 7 agosto, ha prodotto la caccia ai nomi dei parlamentari che, con un’indennità lorda di 11.703 euro erogata senza alcuna interruzione durante la pandemia, hanno comunque chiesto di accedere al bonus emergenziale.

E’ finito sotto accusa anche il governo, colpevole di aver scritto un decreto con maglie troppo larghe, tanto da consentire l’accesso a fondi emergenziali anche a chi non ne avrebbe bisogno.

Dopo alcuni giorni, i nomi dei tre deputati che hanno ottenuto il bonus sono stati rivelati: Andrea Dara e Elena Murelli della Lega e Marco Rizzone del Movimento 5 stelle. I primi due sono stati sospesi dal gruppo parlamentare della Lega, il terzo è stato deferito ai probiviri del Movimento.

Oggi il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, è intervenuto in audizione informale davanti alla commissione Lavoro della Camera, per spiegare come sia stato possibile che i parlamentari abbiano ottenuto il bonus. Le sue risposte hanno lasciato aperti molti interrogativi.

“La linea dell’istituto, vista la situazione di emergenza, è stata: prima pagare, poi controllare”, ha detto Tridico. La domanda per accedere al bonus, infatti, prevedeva la compilazione di soli tre campi: nome e cognome; codice fiscale e l'iban del conto su cui effettuare il versamento. Così è stato per i bonus di marzo e aprile, e così è stato anche per i tre parlamentari.

Tridico ha spiegato il funzionamento dell’erogazione nei primi due mesi: “Se i richiedenti si trovavano nell’elenco dei lavoratori attivi in possesso dell’Inps e facevano domanda di bonus, automaticamente lo ricevevano”. Dunque, inizialmente non sono stati incrociati altri dati non presenti negli archivi dell’ente, come per esempio quelli delle casse di previdenza private.

A maggio la direzione antifrode dell’Inps ha iniziato i controlli sulle richieste, per verificare eventuali abusi o pagamenti indebiti. In particolare, l’unità ha verificato che chi aveva percepito il bonus rispettasse una delle condizioni previste dal decreto Rilancio, in cui si prevede che il bonus non spetti “ai lavoratori dipendenti e ai professionisti iscritti agli enti di diritto privato di previdenza obbligatoria”.

Proprio i dubbi sul rispetto di questa condizione hanno permesso di far emergere i nomi dei deputati.

Secondo le deliberazioni del 2011 e del 2012, i parlamentari che hanno superato l’istituto dell’assegno vitalizio sono titolari di trattamento pensionistico basato sul sistema di calcolo contributivo, sostanzialmente analogo a quello vigente per i pubblici dipendenti.

Questo porterebbe alla conclusione che, al netto dell’opportunità politica, i parlamentari che hanno fatto richiesta di bonus non ne avessero diritto da un punto di vista prettamente giuridico e dunque la loro domanda avrebbe dovuto essere rifiutata al momento della presentazione, come ha argomentato il giuslavorista Giuliano Cazzola nel suo blog sull’Huffington Post.

Tridico in audizione ha contestato, seppur in termini generici, la tesi di Cazzola e non ha ritenuto di poter dire con certezza che i parlamentari godano di una pensione. “Per i parlamentari non è chiaro se ci si trova davanti a un sistema previdenziale o vitalizio. Lo stiamo studiando e verificheremo, insieme a Camera e Senato, quale è la definizione giusta”, ha detto. Anche, perché, “propendere per una per l’altra configurazione comporta la necessità di trattare i fondi della Camera in un modo o nell’altro anche in altri casi”.

La risposta del presidente dell’Inps solleva però nuove domande. Se esistesse davvero questo dubbio tra sistema previdenziale e vitalizio, tanto da ipotizzare che il bonus ai parlamentari sia lecito anche se sconveniente, perché l’antifrode dell’Inps avrebbe incrociato i dati tra i richiedenti del bonus e gli archivi di Camera e Senato?

“L’antifrode ha approfondito la posizione di circa 40 mila lavoratori autonomi”, ha detto Tridico, e per farlo si sono incrociate le richieste pervenute all’Inps con gli archivi previdenziali di Camera e Senato e con gli archivi delle casse di previdenza private. In questo modo sono emersi i nomi degli oltre duemila politici tra parlamentari, consiglieri regionali, provinciali e comunali, assessori e sindaci che hanno fatto domanda.

Inoltre, il presidente dell’Inps ha aggiunto anche di non aver comunicato l’informazione al ministero del Lavoro, “perchè ritenevo che il bonus fosse stato correttamente pagato e che, siccome l’Inps è un istituto autonomo, si sarebbe attivato in proprio nel caso di necessità di recuperare eventuali importi percepiti indebitamente”. La risposta definitiva sulla questione, quindi, potrà fornirla solo l’antifrode dell’Inps.

L’unico dato certo è che la legge sul bonus, per quanto farraginosa, pone un paletto certo alla richiesta: l’iscrizione a un ente di diritto privato di previdenza obbligatoria. E, rispetto a questo limite, l’Inps ha scelto nei primi mesi di adottare la linea che lo stesso Tridico ha definito “prima paga, poi controlla”.

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