La partita per ottenere le deleghe del ministero degli Esteri sulla cooperazione allo sviluppo incrocia due questioni rilevanti per il neonato governo di Giorgia Meloni: le tensioni, fortissime, all’interno di Forza Italia e la preoccupante carenza di figure tecniche nell’esecutivo.

Silvio Berlusconi vorrebbe dare il ruolo di viceministro con delega alla cooperazione al ronzulliano Valentino Valentini, l’ufficiale di collegamento con Vladimir Putin che non è stato rieletto in parlamento. 

È uno dei garanti del rapporto riallacciato di recente dall’ex cavaliere a suon di vodka, Lambrusco e lettere dolcissime. Sarebbe una spina nel fianco di Antonio Tajani.

L’idea non è gradita al mondo della cooperazione, che fa un vanto della sua tradizione bipartisan e ha individuato il nome di un tecnico da sottoporre a Meloni, che dal canto suo ha ottime ragioni per limitare le presenze indulgenti verso Mosca alla Farnesina.

Il nome prescelto è quello di Giampaolo Silvestri, segretario generale della ong Avsi, un profilo tecnico che dovrebbe, nel ragionamento di quella galassia, garantire una certa competenza ed evitare pericolose sbandate politiche.

Silvestri per il momento non commenta le voci su una sua candidatura ispirata dal mondo che rappresenta.  

Oltre al titolo di governo, ci sono in ballo la gestione dei fondi per lo sviluppo che l’Italia investe nei paesi stranieri e che Tajani dovrà affidare a chi lo accompagnerà alla Farnesina.

La delega

La legge prevede che la delega alla cooperazione allo sviluppo vada a un viceministro. Che la veste sia pienamente operativa lo ricorda già il testo: il viceministro è invitato a partecipare, anche se senza diritto di voto, alle riunioni del Consiglio dei ministri nelle quali siano trattate materie che, in modo diretto o indiretto, possano incidere sulla coerenza e sull’efficacia delle politiche di cooperazione allo sviluppo.

Il ruolo ha una sua delicatezza. Vita, portale che si occupa di non profit e cooperazione, ha lanciato un appello: «Nell’ottica delle alte competenze auspicate, il viceministro o la viceministra della cooperazione internazionale allo sviluppo ha grande rilevanza strategica per il successo geopolitico del nostro paese».

La presidente del Consiglio, scriveva Nino Sergi, presidente emerito di Intersos e policy advisor di Link 2007 nel giorno del giuramento, «non sottovaluti questa funzione quando dovrà decidere la persona per esercitarla e sappia che nel mondo della cooperazione non governativa ci sono capacità, conoscenze, competenze maturate in anni di lavoro e in esperienze di alto profilo anche istituzionale».

L’uomo di Silvio

Valentini è un fedelissimo di Berlusconi. Nel 2001 entrò come capo dell’ufficio del presidente del Consiglio e consigliere per le relazioni esterne su presentazione di Tajani. 

«Al secondo colloquio», ha raccontato Valentini a Libero, «Berlusconi mi chiese se fossi fidanzato. Io risposi di sì, mi disse: lo sa la tua fidanzata che ti sposi con me?». Lui stesso si definisce «leale, franco nel consigliare, ma rispettoso delle decisioni che venivano adottate, anche quando non mi trovavano d'accordo».

Per gli Stati Uniti era lui «l’uomo chiave di Berlusconi in Russia». A scriverlo il 26 gennaio 2009 era l’ambasciatore americano a Roma dell’epoca, Ronald Spogli, in un documento dedicato alle relazioni tra l’Italia e la Russia, tra quelli ottenuti da Wikileaks.

«Ogni volta che sollevavamo il problema dei rapporti tra Berlusconi e la Russia, le nostre fonti nel Pdl e nel Pd ci indicavano Valentino Valentini».

A inizio settembre, durante la convention azzurra, ha difeso ancora una volta la linea di Berlusconi sul vecchio amico Putin: «Il rapporto tra Berlusconi e Putin è antichissimo: dopo il crollo dell'Urss avevamo la necessità di coinvolgere la Russia e Eltsin entra nel G8 con Berlusconi a Caserta».

Sin da allora «capisce l'importanza della Russia e poi si arriva a Pratica di Mare, cioè il tentativo di “ingaggiarla”, di un “engagement” e allo stesso tempo portarla nell'insieme della nostra idea di difesa. E in questo modo si cercava anche di contenerla».

Il responsabile affari esteri difendeva il leader: «Detto questo, noi siamo sempre stati coerenti, abbiamo sempre fatto il nostro dovere, abbiamo sempre votato a favore delle sanzioni. Sfido a trovare incoerenze».

Tutti ricordano che nel 2005 a Villa Abamelek, la residenza degli ambasciatori russi, Valentini è stato insignito con gratitudine del prestigiosissimo ordine di Lomonosov. Non ne sono mai state rese note le motivazioni.

Non c’è traccia di questi elementi del curriculum su Libero, che nell’intervistarlo ricorda solo che è «un esperto di Russia», e di certo non è un esperto di cooperazione e sviluppo.

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