Elly Schlein ha detto che il cambiamento non è un pranzo di gala, una citazione maoista che rivela la coscienza di una lunga marcia, sorprendente in una leader per nulla circondata da buona stampa. Troppo donna, troppo giovane, sembra fatta apposta per commentatori e compagni di partito ansiosi di impartirle lezioni. La coscienza di un tempo lungo, però, spiazza maestrine e maestrini perché è fuori dallo spirito dei nostri giorni che richiede velocità, immediatezza, performatività. Qui, invece, c'è quasi «il presentimento di un lungo e faticoso cammino», di cui scriveva Giuliano Procacci nella pagina finale della sua Storia degli italiani. La sconfitta alle amministrative è la fine della luna di miele, un cambio di fase. Il breve sogno è già terminato, ora c'è il tempo diurno della ricostruzione, sarà lungo, come lunga sarà l'opposizione.

Il contesto

I conservatori governano a Londra dal 2010, Angela Merkel è stata cancelliera in Germania per sedici anni. Viktor Orban in Ungheria è stato premier già nel 1998 e oggi dal 2010. Giorgia Meloni ha l'ambizione di durare e ha l'età, le condizioni politiche, lo scenario internazionale per riuscirci. La vittoria politica della destra ha preceduto quella elettorale.

La sinistra, al contrario, aveva già perso politicamente, la disfatta nelle urne è arrivata dopo. La destra è a suo agio nel tempo della guerra e del ritorno dei nazionalismi politici e economici. L'ultimo baluardo è l'Europa, ma sta per cadere anche quello, in vista delle elezioni europee del 2024 il progetto è cancellare la sinistra dal governo dell’Europa. Di questa operazione l'Italia è il laboratorio, non l'anomalia.

Prepararsi all'impatto e evitare lo sfracello è oggi la missione storica della sinistra italiana. Ma chi si oppone alla prospettiva di un lungo potere di Meloni deve scontare il trentennio precedente. Trent'anni in cui le famiglie della sinistra italiana, i post-comunisti, i cattolici democratici, i socialisti, i liberal-democratici, gli ambientalisti, hanno smarrito pensiero, cultura politica, modello organizzativo, radicamento nella società.

Mentre, intanto, cresceva una destra radicale che ha una visione del mondo, una corazzata mediatica che mette in circuito la carta stampata, la televisione generalista, i siti e i social, e un radicamento popolare. Il centrosinistra è diventato un patto di sindacato, in cui ognuno rivendica un pezzettino, con un amministratore delegato debole e provvisorio, in cui nessuno vince o perde perché nessuno si mette davvero in gara. I governi tecnici, gialloverdi, le larghe intese sono stati l'habitat naturale. Perfetti per collezionare ministeri senza consenso e senza progetto.

Il fattore risentimento

La destra ha avuto invece, per decenni, un blocco sociale di riferimento, il forza-leghismo del Nord, come lo chiamava Edmondo Berselli. Oggi è qualcosa di diverso, di più trasversale, più liquido e più solido allo stesso tempo. Liquido è il sentimento, anzi, il risentimento verso qualcuno. «Il nazionalismo è un'ideologia che ha bisogno di un nemico, si costituisce in opposizione all'Altro, non importa chi sia», scrive Slavenka Drakulić in Ritorno al caffè Europa (Keller), un viaggio nei paesi ex comunisti dell'Est Europa. L'Altro è il migrante, ma anche il politico o il pensatore avverso. Solido è l'apparato di potere, che occupa i settori chiave dello Stato, le società partecipate, i servizi di sicurezza, la tv pubblica, attrae imprenditori, colossi privati, editori, intellettuali.

Renzi aveva provato a comporre il suo partito della Nazione, in nome della fine delle ideologie, destra e sinistra non c'erano più, solo il tempo nuovo, le riforme da fare nel migliore dei mondi possibili, in un paese in cui non si prevedevano il dolore o il fallimento, solo una compagnia di vincenti. Meloni fa il suo partito della Nazione con il segno opposto, con una ideologia feroce, lontana dal cuore della Repubblica costituzionale che oggi festeggiamo. È il progetto di una Repubblica a-costituzionale più che anti-costituzionale e di un'Europa dei nazionalismi.

La ricostruzione della sinistra non può durare trent'anni, ma neppure trenta o sessanta giorni. Le correnti, i pallidi manifesti riformisti ma anche le nostalgie del passato, sia di matrice ex Pci e che di origine cattolica, esistono solo nei retroscena dei giornali, sono posizionamenti nel presente, però si vedono. Il cambiamento, invece, non appare. Nello skyline attuale del centrosinistra il panorama è deserto. Chiusi i circoli territoriali, ma dismessi anche giornali, riviste, case editrici, associazioni, forum.

Il primo passo della marcia, dunque, è far vedere il cambiamento. Servono luoghi, anche luoghi fisici, in cui il cambiamento sia visibile, in cui chi lo interpreta prenda finalmente voce.

Piattaforme di incontro e di pensiero, in cui esprimersi. E un'agenda di appuntamenti locali e nazionali, per cui è necessaria una creatività organizzativa e un lavoro politico: cercare, ascoltare. Se il tempo è lungo, lo spazio non è la superficie, ma il profondo. C'è il profondo della società italiana da estrarre, da portare alla luce. Il partito non è il fine, la casa delle correnti, è lo strumento per ricucire un rapporto spezzato.

Nuovi soggetti

Le alleanze vengono dopo. Prima c'è bisogno di nuovi soggetti politici, gli attuali non sono spendibili, perché hanno come ragione sociale la conservazione dei capi in carica. Una sfilata di gattopardi. Quando nacque l'Ulivo, e più tardi il Pd, nel Pds e tra i Popolari le svolte furono anticipate da traumatiche scissioni e cambi di leader.

Il Pd attuale, per dimensioni elettorali, non è più da tempo la grande tenda che tutto contiene come la sognavano i padri, da Prodi a Veltroni. Almeno dal 2018, quando il Pd di Renzi dimezzò i consensi, ma già nel 2013, quando c'era Bersani. Quel Pd non c'è più, ma fuori cosa c'è? Come si raggiunge? Una domanda da farsi con spietatezza. Per Elly Schlein la sfida non è adeguarsi al ritratto che le dipingono i commentatori e gli aspiranti padrini, ma guidare questo processo. Non è stata eletta capo di una minoranza, ma segretaria di tutto il partito.

«Il popolo è per il realismo, non solo perché fra il popolo ci sono cocciuti e scettici realisti. Il popolo è per il realismo anche perché il ritmo della marcia è regolato dai suoi sentimenti, perché bisogna affrontare le sue ribellioni, perché sceglie i capi al suo interno... Il movimento ha luogo nel tempo storico, è il duro e continuo lavoro degli uomini e delle donne», ha scritto Michael Walzer in “Esodo e rivoluzione” (Feltrinelli, 1986), l'interpretazione del libro biblico che è la metafora di ogni processo di liberazione umana. Ogni generazione ha il suo deserto da attraversare e la sua terra promessa da raggiungere, con la certezza, scrive Walzer, che «la strada che porta alla terra promessa attraversa il deserto. E che l'unico modo di raggiungerla è unirsi e marciare insieme».

Ecco la lunga marcia di cui Elly Schlein ha bisogno. Il tempo e la profondità sono nemiche della politica contemporanea, eppure necessarie per riprendere quel che la sinistra ha perso in questi anni, il popolo.

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