Il nuovo presidente della commissione Esteri al Senato potrebbe non essere tanto diverso dal deposto Vito Petrocelli. La scelta del M5s, a cui la presidenza spetta in base alla solita spartizione degli incarichi di peso tra le forze politiche, è caduta su Gianluca Ferrara, già capogruppo dei Cinque stelle in commissione.

L’indicazione fa scalpore perché la linea di Ferrara sul conflitto ucraino non è poi così diversa da quella di Petrocelli: nei confronti della Russia si muove sulla linea dell’ambiguità, come il presidente del partito, Giuseppe Conte, che sulla guerra non perde occasione per punzecchiare Mario Draghi e mettere in discussione l’asse atlantista. «Gli interessi dell’Europa sono esattamente coincidenti con quelli degli Stati Uniti e della Gran Bretagna? Per averlo detto sono stato aggredito, oggi si inizia a discuterne», ha detto l’ex premier a Porta a porta. Secondo Conte, la pace con il presidente del Consiglio non c’è e l’alleanza euroatlantica è da rivedere.

Il 7 maggio scorso, Ferrara, candidato di Conte, scriveva sulla sua bacheca Facebook che «la corsa al riarmo è una follia», spiegava che «per Draghi dovrebbe essere un dovere venire a spiegare (la linea italiana al parlamento, ndr) prima di visite così importanti», come quella a Washington che si è conclusa ieri.

Il 25 aprile, mentre il presidente Petrocelli decideva il suo destino con un tweet in cui celebrava la «liberaZione» utilizzando la “Z”, simbolo dell’invasione putiniana, Ferrara chiedeva: «Riaccendiamo la luce della diplomazia!»

Il passato di Ferrara

La linea morbida di Ferrara nei confronti di Mosca non è cosa nuova: già nel 2018 firmava un volume di oltre 300 pagine intitolato L’impero del male. I crimini nascosti da Truman a Trump. «Gli Usa sono sempre più divenuti un’economia di guerra a cui è indispensabile individuare sempre un nuovo nemico per giustificare nuovi investimenti in armamenti», si legge nella descrizione del libro.

Ferrara è un fedelissimo di Conte, per questo è stato indicato come futuro presidente di una commissione di assoluto rilievo, quel è la Esteri. Niente da fare dunque per Simona Nocerino, l’altro nome del M5s circolato negli ultimi giorni come possibile nuova presidente. Nocerino è considerata troppo vicina al ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, che appoggia la linea atlantista. «Spero non si arrivi a perdere la presidenza di commissione», dice Nocerino dopo che la capogruppo Maria Domenica Castellone ha deciso, su indicazione diretta di Conte, di indicare Ferrara.

Il nome dovrà passare al vaglio della stessa commissione. I senatori eleggeranno il nuovo presidente probabilmente martedì prossimo. Prima di riunirsi, però, i gruppi parlamentari dovranno confermare i propri membri della commissione, dopo le dimissioni di massa che hanno portato alla sostituzione di Petrocelli. Solo il Movimento 5 stelle non dovrebbe riconfermare tutti i suoi senatori: ci sono due posti vuoti da assegnare, quello dell’ex presidente e quello del senatore Alberto Airola, in fase di trasferimento in un’altra commissione «per volontà propria».

Il rischio nei numeri

Uno dei due sostituti dovrebbe essere Ettore Licheri, capogruppo a palazzo Madama prima di Mariolina Castellone. Era temporaneamente scomparso dalle scene, ma ultimamente ha ripreso a frequentare i programmi tv, prendendo posizione sul conflitto ucraino. Anche lui era tra i nomi in lizza per sostituire Petrocelli. Molto vicino a Conte, la sua candidatura rischiava di andare incontro all’ostilità dei componenti della commissione, poco desiderosi di essere affiancati da un senatore con poca esperienza in tema di esteri. Il precedente del 2020, quello del senatore Cinque stelle, Pietro Lorefice, indicato per la presidenza della commissione Agricoltura, non era finito bene: pur di non eleggere un esterno, la maggioranza giallorossa, con l’aiuto del centrodestra, aveva votato per la confermare il leghista Gianpaolo Vallardi.

Verosimilmente anche il secondo senatore in arrivo in commissione sarà un nome di cui Conte si fida, in modo tale da assicurare l’elezione del candidato Ferrara. Numeri alla mano, la strada è in salita. In commissione ci sono 22 membri, ne servono 11 per eleggere il presidente: il Movimento dispone di cinque voti, neanche tutti certi. Il Pd ne ha tre. Garantirà i suoi consensi a patto che Ferrara resti neutrale, si muova lungo un asse filoeuropeista e rispetti gli impegni atlantici. L’elezione, quindi, non può essere data per scontata.

Italia viva conferma in commissione la senatrice Laura Garavini. Il capogruppo Davide Faraone, però, fa intendere che il loro voto non è assicurato: «Nessuno gode di un diritto divino per rivendicare la presidenza e non vale nemmeno il principio ereditario», dice il senatore vicino a Matteo Renzi.

La presidenza dei grillini, insomma, è a rischio. L’eventualità agita anche l’ala dei parlamentari vicini a Di Maio, spaventata dalla possibilità che Conte possa giocarsi l’incarico solo per imporre un suo candidato di area, anche se ambiguo sulle tesi atlantiste. Resta il punto interrogativo della Lega. Per il momento la tendenza della delegazione in commissione è di non appoggiare la candidatura, ma fino a martedì resta spazio per confronti e accordi.

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