«Il mio obiettivo è la politica a costo zero. Quasi zero. Tendente allo zero» scriveva nel 2010 sul suo blog Beppe Grillo. All’epoca, secondo i dati forniti dal fondatore del Movimento 5 stelle, il costo della campagna elettorale in cinque regioni era stato di 40mila euro.

Oggi, undici anni dopo, il M5s spende cento volte tanto soltanto in dipendenti del gruppo Cinque stelle alla Camera. Gli iscritti al Movimento hanno votato per dare al M5s la possibilità di ottenere il 2 per mille dai cittadini. Sempre nel post del 2010, Grillo si gloriava del fatto che il Movimento avesse rifiutato 1,7 milioni di rimborso elettorale, soldi pubblici che secondo lui la politica non avrebbe dovuto ottenere.

Oggi, a fargli eco è rimasto soltanto il senatore Danilo Toninelli, che sul suo profilo Instagram auspica che il M5s torni «a far sognare le persone con le nostre proposte e col nostro modo di essere leale e sincero. Sono convinto che non ci servono più soldi pubblici».

Ma se i parlamentari hanno già dato il via libera alla proposta, che già era stata accettata agli stati generali del 2020 un motivo c’è: la politica, a differenza di quel che sperava Grillo, non può essere a costo zero.

Uscite in crescita

Per averne prova, basta guardare ai bilanci dei gruppi Cinque stelle di Camera e Senato. Mentre infatti l’Associazione Movimento 5 stelle è una scatola vuota che non ha mai avuto entrate né uscite, i gruppi hanno spese che sono lievitate nel corso degli anni.

Per avere il quadro completo del denaro a disposizione del partito bisognerebbe conoscere anche i conti del braccio economico del nuovo corso contiano, su cui incidono per esempio i costi per la nuova sede a Via di Campo Marzio. Essendo però nato quest’anno non ha ancora prodotto rendicontazione economica.

Guardando ai conti del parlamento si può immaginare perché il M5s cerchi nuove fonti di denaro: nel 2014 il gruppo Camera spendeva 2,7 milioni di euro per il personale dipendente e 480mila euro per collaborazioni e consulenze a fronte di 4,4 milioni di euro di contributo di Montecitorio. Nel 2020 il contributo era praticamente il doppio, 8,6 milioni di euro, ma anche le spese sono cresciute: il personale dipendente ha assorbito 4,9 milioni, collaborazioni e consulenze 1,6 milioni.

Stesso discorso al Senato: con un maggior numero di parlamentari eletti, le spese sono esplose. Il personale nel 2014 costava 1,9 milioni di euro, i compensi per professionisti, collaborazioni e prestazioni occasionali arrivavano a circa 230mila euro a fronte di un contributo di 2,7 milioni da palazzo Madama.

Nel 2020 il Senato ha fornito 5,8 milioni di euro e i senatori ne hanno spesi 3,5 per i dipendenti e 85mila per professionisti, collaborazioni e prestazioni occasionali. Nel bilancio di previsione 2022 le stime vanno addirittura oltre, sia per le spese in personale che per i compensi a chi collabora.

Le entrate languono

FILE - In this Friday, Jan. 19, 2018 file photo, 5-Star Movement founder Beppe Grillo, center, flanked by movement cofounder Davide Casaleggio, right, and lawmaker Luigi Di Maio pose in Rome. Italy's 5-Star Movement suffered a second blow in a week Friday after it split with Rousseau, the association that runs its "direct democracy" online platform allowing registered members to vote on key policy decisions. Rousseau is headed by Davide Casaleggio, whose father co-founded the 5-Star Movement along with comic Beppe Grillo. (AP Photo/Gregorio Borgia, File)

Tutto questo senza contare le ultime campagne elettorali, per cui molti parlamentari hanno dovuto investire soldi di tasca propria. Una giustificazione in più che hanno portato a chi li rimprovera di non aver aderito tutti alla nuova regola delle restituzioni. Istituita dall’allora capo politico Vito Crimi ad aprile scorso prevede che vengano versati ogni mese, 1.000 euro per il partito e 1.500 di restituzioni da dare in beneficenza.

Molti parlamentari hanno lamentato anche il fatto che 7,5 milioni di euro erano fermi sui conti delle restituzioni da marzo 2020 e hanno scelto di versare soltanto la quota destinata al partito: a scorrere la contabilità, ci sono addirittura una ventina di parlamentari che non hanno dato proprio nulla. Tra questi anche i sottosegretari Manlio Di Stefano e Vittorio Ferraresi, oltre all’ex sottosegretario Simone Valente. Se si moltiplicano i 2.500 euro di contributo per le sette mensilità seguite all’editto di Crimi, si ottengono 17.500 euro di versamenti totali dovuti.

Non tutti i volti noti sono stati ligi al dovere: Luigi Di Maio, Fico e Toninelli hanno versato 15mila euro, Alfonso Bonafede 12.500, Fabiana Dadone 10mila, Federico D’Incà 13mila. Poi c’è anche chi ha voluto distinguersi, come i neovicepresidenti del Movimento Michele Gubitosa (24mila euro), Paola Taverna (21mila), Mario Turco (24.500) e Riccardo Ricciardi (27mila). Anche Stefano Patuanelli ne ha versati 19.500. Per il resto, le cifre oscillano, ma è ormai evidente che il modello della colletta dei parlamentari, che poi versavano al partito sempre soldi pubblici, non basta più.

 

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