Non si placano i tormenti dei Cinque stelle, che appaiono oggi un passo più vicini all’addio al governo. L’accelerazione è arrivata nella mattinata di ieri, quando in un’intervista al Fatto quotidiano Domenico De Masi, sociologo e uomo di fiducia di Beppe Grillo, oltre a referente della scuola di formazione dei Cinque stelle, racconta che il fondatore del Movimento gli ha confidato che il premier Mario Draghi gli ha chiesto di rimuovere Giuseppe Conte dal M5s.

Un’accusa forte, che dal Movimento viene letta come un ulteriore motivo per dire addio a una maggioranza da cui da tempo si sentono ignorati. Tanti parlamentari, ma anche membri del governo, si prinunciano su un sentito dire che per fino alla nota serale di palazzo Chigi non viene confermato né da Draghi né da Grillo. «Se mi sembra verosimile? Mi sembra verosimile e mi sembra non ci sia nessuna smentita», dice il ministro dell’Agricoltura Stefano Patuanelli, definendo «molto gravi» i commenti di Draghi riferiti da De Masi.

Le tensioni

La strada dell’addio al governo sembra ormai imboccata quando Grillo convoca anche una riunione con i membri della delegazione al governo Cinque stelle. L’aria è cambiata rispetto ai giorni scorsi, quando il comico assicurava ai cronisti che il Movimento sarebbe rimasto nella maggioranza: già martedì nelle riunioni con i parlamentari per cui il garante è sceso a Roma si evocava la possibilità di un appoggio esterno. Di fronte all’insistenza degli eletti Grillo ha ceduto: «Ora ci ragioniamo con Giuseppe».

Passa totalmente in secondo piano la decisione sulla deroga al limite dei due mandati, uno dei nodi che in teoria Grillo era venuto a sciogliere. Ma ora non c’è più tempo per convocare una consultazione che permetta agli iscritti di votare sull’opportunità di sospendere la deroga per permettere al sottosegretario Giancarlo Cancelleri di correre per le primarie del campo largo in Sicilia.

Il termine per presentare le candidature è oggi, e per organizzare un voto serve un preavviso di ventiquattr’ore. Eppure, Grillo parla ancora di «totem» riferendosi alla regola dei due mandati. In serata, almeno questo nodo si scioglie: Cancelleri annuncia il passo indietro, non correrà alle primarie. In mattinata, ad alzare ulteriormente la tensione è un post di Paola Taverna, apparso solo per pochi minuti sul suo profilo Facebook: «Beppe insieme a Gianroberto ci hanno regalato un sogno, un’alternativa valida ad un sistema politico marcio», scrive la veterana del Movimento. «Perché sta succedendo questo Beppe? Perché stai delegettimando il nostro capo politico. Il movimento non è di tua proprietà, il movimento lo abbiamo costruito tutti insieme mettendoci tempo, fatica e denaro. Questa volta Beppe ci devi dare delle spiegazioni valide a tutto questo». Lo sfogo, subito cancellato, viene più tardi attribuito a un collaboratore. Ma il testo sembra la prova tangibile del malcontento circolato tra i maggiorenti dopo che Grillo ha loro prospettato la carriera di mentore che ha in mente per chi ha esaurito i due mandati previsti dalle regole del Movimento. Una proposta che ha cementato il sostegno a Conte, cresciuto nei mesi in cui Grillo si è tenuto ai margini.

Serve a poco l’intervento di Draghi a metà pomeriggio. Da Madrid il premier prova ad abbassare i toni di una discussione che rischia di snellire la sua maggioranza. «Ci siamo parlati con Conte poco fa, l’avevo cercato stamattina, mi ha richiamato lui: abbiamo cominciato a chiarirci. Ci risentiamo domani per vederci al più presto» dice, senza fare riferimento alle parole che gli attribuisce De Masi. Neanche cinque minuti dopo il profilo instagram del Movimento 5 stelle pubblica una grafica in cui si riprendono le parole con cui Conte risponde alle presunte accuse: «Draghi ha chiesto a Grillo la mia rimozione? Sconcertato, grave che un premier tecnico si intrometta».

Insomma, il chiarimento sarà pure in corso, ma l’episodio non si è ancora esaurito.

Subito dopo, salta infatti il vertice convocato da Grillo con i ministri. La motivazione ufficiale è l’affaticamento di Grillo per gli incontri degli ultimi giorni. L’attesa a questo punto è tutta per cosa si diranno oggi l’ex premier e l’inquilino di palazzo Chigi. Tra i parlamentari si fa largo la convinzione che ormai ogni episodio di questa vicenda sarà letto nel peggiore dei modi per facilitare lo strappo. «Tra Draghi e Conte non è mai corso buon sangue: nessuna delle loro conversazioni ha avuto un esito positivo, perché dovrebbe averne uno questa?» si chiede un deputato. A peggiorare le cose arriva in serata la bocciatura dell’emendamento al decreto Aiuti che doveva bloccare il termovalorizzatore a Roma voluto da Roberto Gualtieri: la modifica proposta in commissione dai Cinque stelle per fermare il progetto fallisce 22-14. Un ulteriore grana con cui Conte dovrà confrontarsi.

Le reazioni

Ma la possibilità di tornare all’opposizione galvanizza molti eletti, anche se l’eccitazione non tocca tutti. C’è chi di fronte a un addio all’esecutivo giura che guarderà altrove: non da Luigi Di Maio, a cui la maggior parte non attribuisce grandi potenzialità, ma magari verso partiti di centro. Se Conte dovesse decidere per lo strappo, dovrà mettere in conto ulteriori addii.

Se l’uscita dal governo dovesse davvero concretizzarsi, sarebbe anche la sconfessione definitiva delle indicazioni di Grillo, che, forte del suo rapporto con il presidente del Consiglio, sperava di poter ancora incidere nelle ultime decisioni di peso della legislatura.

La sicurezza che gli dava il fatto di avere l’orecchio di Draghi, però, si è scontrata con l’evidenza che una buona parte dei parlamentari scalpita per uscire dalla maggioranza e con il fatto che il rapporto tra il premier e i ministri grillini si è ormai deteriorato.

Grillo, rimasto lontano da Roma per troppo tempo, ha avuto soltanto modo di prendere atto della situazione e dopo essersi inimicato anche la vecchia guardia al secondo mandato non sembra aver più argomenti validi per convincere gli eletti a tenere duro per altri dieci mesi.

 

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