La prima mossa arriva il primo marzo, all’indomani della strage di Cutro. In commissione Affari costituzionali di Montecitorio tutte le opposizioni chiedono le dimissioni del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Parte Riccardo Magi, 46enne, radicale, segretario di Più Europa; segue il rossoverde Filiberto Zaratti; poi Elly Schlein al suo esordio da segretaria; infine il grillino Stefano Colucci. Il Terzo Polo non c’è, ma Carlo Calenda si associa via twitter.

Dopo una settimana Schlein fa un altro gesto, concreto e simbolico. Con Simona Bonafé e Debora Serracchiani aggiunge la sua firma sulla proposta di Magi: una legge di iniziativa popolare proveniente dalla campagna Ero straniero che cancella la legge Bossi-Fini. In due mosse, insomma, il Pd chiude l’èra Minniti e cambia verso sull’immigrazione. Magi questa storia la conosce dall’inizio. Gli chiediamo il suo fact-checking.

Intanto: Piantedosi resta al suo posto. E sulla strage di Cutro ormai si aspetta l’esito delle indagini. 

A tre settimane dalla strage, dal governo non sono arrivate risposte a domande che erano prevedibili, perfino scontate, che hanno fatto le opposizioni, i giornalisti e gli stessi cittadini. Anzi la premier Meloni insiste in questo assurdo ribaltamento delle parti: anziché prepararsi risposte istituzionali, o farsi aiutare a prepararle, continua a fare lei delle domande. Le domande sono: perché la notte del 26 febbraio la Guardia costiera, l’unica ad avere mezzi adeguati a quel tipo di salvataggi, non è uscita? Ancora non si sa.

Dice il governo: perché non era stato lanciato l’“evento Sar”. Chi doveva lanciarlo?

Anche questo non si sa. Ma qui sta la responsabilità politica. Una direttiva del 2019, del governo gialloverde, sostituisce la catena di comando. Prima il ruolo centrale era quello del Centro di coordinamento della Guardia costiera di Fiumicino. Ora diventa della Centrale operativa presso il Viminale. La priorità non è più il soccorso, e si creano situazioni di poca chiarezza. Lo abbiamo chiesto a Piantedosi in commissione e in aula, e a Meloni nel question time: infatti non riescono a spiegare la catena di comando. Non riescono ad ammettere che la responsabilità era del Viminale.

Intanto il governo ha approvato un decreto.

Il caso Cutro ha avuto un forte impatto sull’opinione pubblica, tanto che il governo è arrivato a dire parole che mai avevamo ascoltato da destra. Anche perché fino a qualche mese fa Meloni parlava di blocchi navali. Ora molti ammettono che servono vie legali per entrare in Italia. E che andranno a prendere i migranti a casa loro, lo ha detto Piantedosi. Ma nel decreto non c’è nulla. Sui flussi è aria fritta: dice che la programmazione è triennale anziché annuale; viene espressa la volontà di aumentare il numero di immigrati legali, ma resta la legge Bossi-Fini che presuppone una finzione ipocrita: chiede che il datore di lavoro faccia arrivare dal paese d’origine qualcuno che non conosce. Poi si prevedono corsi di formazione nei paesi di origine: ma non si capisce chi deve organizzarli né questi ragazzi come faranno a essere conosciuti da quelli che li devono chiamare. Almeno per loro si dovrebbe prevedere un permesso di soggiorno per ricerca di lavoro, legalmente e in sicurezza.

Ma viene annunciata la caccia agli scafisti per tutto «l’orbe terracqueo».

Questa è ossessione penalistica, alla faccia del diritto penale liberale di cui Carlo Nordio parlava prima di diventare ministro. In ogni decreto c’è un reato universale. In quest’ultimo c’è quello degli scafisti. Nessuno li vuole difendere, ma non si può sostenere che siano loro gli artefici della spinta migratoria di mezzo mondo. Si vuole perseguire questo reato in tutto il globo terracqueo? Bene. Ma lo stato che si propone di perseguire quel reato ovunque, dovrebbe anche tutelare le vittime di quel reato. Invece domenica scorsa 47 persone sono rimaste per più di un giorno in mezzo al Mediterraneo. E sono tutti rimasti a guardare, in attesa che arrivasse la Guardia costiera libica. Sono morte 30 persone. Ecco, lì si stava esattamente compiendo quel reato universale, e in fragranza. Nel decreto c’è anche la stretta all’accesso alla protezione speciale: porterà all’aumento degli irregolari in Italia. La loro ossessione è ideologica: se tu arrivi in Italia da irregolare non ci deve essere un modo per regolarizzarti. Neanche se trovi un datore di lavoro pronto ad assumerti. Resti irregolare e te ne devi andare, anche se non ci sono gli accordi di rimpatrio con i paesi, e i rimpatri sono costosi e difficilissimi.

All’opposizione la novità è che la nuova segretaria Pd ha firmato la vostra proposta di legge “Ero straniero”. Il Pd cambia passo. Lei ci crede?

Forse è la prima volta in questa legislatura, c’è una proposta di quasi tutte le opposizioni. L’ha firmata Elly Schlein, il terzo polo, i rossoverdi. Non i Cinque stelle, fra i quali su questo resta un’anima fedele alla linea gialloverde. Ma è un fatto positivo.

Perché il Pd non l’aveva firmata prima?

Mentre raccoglievamo le firme su “Ero straniero”, insieme alle più autorevoli organizzazioni del terzo settore, avveniva la “svolta” del memorandum con la Libia. Nella seconda parte della legislatura 2013-2018, quando affrontai con il Pd il tema di una riforma delle legge sull’immigrazione, mi fecero presente che in quel momento non c’erano i numeri neanche per approvare lo ius soli, che  infatti ancora aspetta. Nella scorsa legislatura poi, quando il Pd andò al governo con i Cinque stelle, il massimo che si riuscì a fare fu la modifica di alcune delle parti più odiose dei decreti Salvini-Conte. Per questo oggi mi sembra di vedere un segnale di discontinuità importante.

Il Pd dovrà  rimangiarsi tutta la sua “èra Minniti”?

Resta la legge Bossi-Fini, di cui ormai anche Fini chiede il cambiamento. Ma sono più di vent’anni che è legge e nessuno nessun governo l’ha cambiata, neanche il governo giallorosso. La nostra proposta risale al 2017, ai governi Renzi e Gentiloni. Nella scorsa legislatura abbiamo fatto un lungo ciclo di audizioni in cui praticamente tutti, dai sindacati al Cnel al ministero del Lavoro agli imprenditori al terzo settore, hanno detto che andava approvata. E invece non abbiamo fatto un passo avanti.

Oggi questa nuova scelta del Pd  è significativa. Credo che per il Pd sia arrivato il momento di tirare le somme. A partire dagli accordi con la Libia. Il momento di dire che la scelta della cooperazione internazionale, che è rimasta la stessa da Minniti a Salvini a Lamorgese, non ha aiutato né la stabilizzazione democratica di quel paese né le condizioni dei migranti. E non ha diminuito gli arrivi. Invece ha rafforzato il potere di alcune milizie libiche colluse con i trafficanti di esseri umani. Va detto che nel Pd ci sono stati colleghi che hanno votato contro il finanziamento, e si sono astenuti sulla proroga del supporto alla missione della Guardia costiera libica, in numero crescente. Ma è un punto che resta aperto. 

Sarà difficile per loro smentire una linea tenuta da anni?

Ma sarà inevitabile. Nel 2017 è stato firmato il Memorandum con la Libia con cui abbiamo fornito risorse, mezzi e addestramento, per consentire a quel governo di dichiarare che era in grado di coordinare operazioni di salvataggio nella propria zona Sar. Abbiamo ottenuto che quello che avveniva in quel mare non fosse più un problema nostro. Veniva celebrata una fantomatica “svolta” contro il traffico di esseri umani. Oggi dobbiamo guardare la realtà: la Libia è diventata un luogo infernale, un hub di disperazione, un concentramento di migranti, tortura, sevizie, violenza sessuale sistematica. Ora, a distanza di cinque anni, dobbiamo chiedere tutti insieme che finisca la farsa della zona Sar libica.

Meloni non è dello stesso avviso, e ora governa lei.

Le opposizioni si debbono unire. L’Italia deve andare in sede europea, che all’epoca ci ha dato supporto sperando fosse un esperimento analogo a quello della Turchia, a dire che non ha funzionato; che con i partner europei serve organizzare un piano di evacuazione dei lager, favorendo il rientro in patria per chi vuole. E una missione comune di salvataggio nel Mediterraneo. L’unico modo per non allontanarci di più dal diritto internazionale e dalla tutela dei diritti umani. Tutto il resto è orrore, come l’orrore di quei trenta naufraghi che morivano mentre tutti li stavano a guardare.

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