Quest’estate il sottosegretario alla presidenza del consiglio Riccardo Fraccaro ha incontrato Stefano Mancuso, docente all’Università di Firenze e direttore del Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale. «Uno scienziato di prestigio mondiale tra i massimi esperti di neurobiologia vegetale che da anni conduce studi sulle facoltà cognitive delle piante» ha scritto. Nel 2010 è stato relatore di uno dei Ted talks, le conferenze che danno spazio ai grandi protagonisti della contemporaneità a cui hanno partecipato Bono o Bill Gates. La sua si è intitolata “Alla radice dell’intelligenza delle piante”. Da allora la sua notorietà è andata crescendo, complice la sua attività di scrittore trattato dagli appassionati quasi come un guru. Dopo l’incontro, quattro mesi dopo è comparsa in legge di Bilancio la Fondazione per il futuro delle città, che, come rivelato da Domani, ha voluto espressamente il sottosegretario con una dotazione di 20 milioni dal 2021 al 2025. Mancuso conferma, il governo vuole che se ne occupi personalmente.

«Il sottosegretario Fraccaro mi ha chiesto di aiutarlo nell’ideazione di una Fondazione, di un centro di ricerca, che si occupasse di un tema particolare e preciso di cui al momento non c’è alcun centro specializzato: la transizione urbana, perché le nostre città diventino dei luoghi sostenibili. Immagino che abbia letto i mei libri, dove insisto sulla necessità di lavorare sulle città».

Di cosa si tratta?

Siamo di fronte a un paradosso. In un lasso di tempo straordinariamente breve dagli anni ‘70 a oggi, la percentuale di popolazione che vive in città si è capovolta: prima era il 30 per cento del totale, oggi in Europa e in America siamo intorno all’80 per cento. In un tempo così breve c’è stato un cambiamento epocale. Le città, che corrispondono circa al 2 per cento delle terre emerse, sono il motore della nostra aggressione all’ambiente: producono il 75 per cento della CO2 e l’80 per cento dei rifiuti del pianeta e richiedono l’80 per cento delle intere risorse del pianta.

Di che cosa si occuperebbe la fondazione?

Soluzioni sostenibili per i prossimi anni, soprattutto, per quanto mi riguarda utilizzando le piante: mettendo alberi dove possibile. Oggi le città sono costruite in maniera primitiva. Oggi sono come le costruivamo ai tempi dei romani, non è cambiato nulla. Servono nuove istruzioni e c’è bisogno di ricerca importante per coprire tutte le superfici delle città con la maggiore quantità possibili di presenza vegetale.

Ricerca e pianificazione?

Si tratterebbe di dare consulenza alle amministrazioni. Spesso non conoscono per bene il problema ambientale e non sanno come approcciarlo. La Fondazione dovrebbe avere tre anime: fare ricerca su questi temi, aiutare i centri urbani nella predisposizione di soluzioni sostenibili e poi dovrebbe fornire formazione, sia di nuovi scienziati che di amministratori e manager.

Come verrebbe coinvolto?

Bisognerebbe chiedere a Fraccaro, per ora mi hanno chiesto idee. Immagino che qualora nascesse mi chiederebbero di collaborare alle loro azioni.

Ma anche di fare parte direttamente della fondazione?

Penso di sì.

In Italia abbiamo già Ispra, Enea e Cnr. Come mai non si potrebbero utilizzare loro per le finalità che ci ha descritto invece che creare una nuova fondazione?

Guardi in parte è vero, ci sono anche le università, ogni ateneo è un autonomo centro di ricerca. Però ognuna di queste entità hanno delle peculiarità: si occupano di particolari ambiti della ricerca ambientale. Per quanto ne sappia un centro specializzato nella ricerca urbana non c’è, ci sono dei gruppi di lavoro, e mi auguro che verranno tutti coinvolti. Una chiosa che mi permetto di fare è che in Italia c’è la mania dei monopoli: un luogo solo come se fosse più efficiente. Questo per me non è vero.

Come mai?

Le faccio un esempio. Io ho lavoro molto con la Germania, un luogo che non si può tacciare di essere poco efficiente. I centri che si occupano di ambiente sono innumerevoli e affrontano ognuno un particolare argomento: c’è l’agenzia tedesca per l’ambiente, quello giuridico ambientale, il centro per la terra e l’ambiente, per l’ambiente e la salute e per la salute dell’ambiente. Ce ne sono mille e trovo che sia il modo più corretto per lavorare. Non sono molto grandi, da centinaia, migliaia di ricercatori, ma ognuna è specializzata. Io sostengo questa tipologia, anche se l’Italia ha preso da tempo una strada diversa, dell’accorpamento.

L’Italia però è anche un paese che moltiplica le poltrone.

Lo capisco perfettamente. Alcune di queste iniziative però potrebbero essere efficienti e virtuose.

La fondazione inoltre lascia aperta la possibilità della partecipazione privata. I privati non sempre hanno le stesse finalità che ha il pubblico.

Sono come un martello, possono distruggere e possono costruire. Dipenderà dagli statuti. Questo è uno strumento, dipende dagli statuti e dalle persone che saranno coinvolte. Poi sono sempre le persone che cambiano le cose.

A lei non preoccupa questo meccanismo?

Un po’ sì. Sono proprio uno scienziato, non ho mai partecipato a cose del genere, non so come funzionerà. Quello che mi sento di dire è che se dovessi partecipare a una cosa del genere può star certa che tutto quello che farebbe questa fondazione sarebbe far ricerca. Altrimenti me ne andrei.

Pensa che il suo contributo oltre alla ricerca un domani potrebbe sfociare nella politica?

Le rispondo immediatamente no. Non perché io sia un antipolitico, credo che il problema odierno sia la mancanza di politica, dovremmo avere persone che sono formate e costruite per fare politica. Invece questo non accade. Io non lo sono, se c’è una cosa che non sono in grado di fare è proprio questa: non sono abile a mediare, non sono abile nel sentire e nel capire le posizioni di tante persone. Ci vogliono delle expertise. Spero di avere una certa dignità come scienziato e spero di continuare a fare questo.

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