A Roma l’accordo fra Pd e Cinque stelle per le prossime amministrative doveva essere «strutturale» è invece saltato; a Napoli è «ambizioso» – la definizione è del ministro Luigi Di Maio – e forse potrebbe reggere, ma il candidato non c’è più, ha gettato la spugna con parole amarissime. Nel capoluogo campano la via per un nome comune viene data per certa. Ma in una notte, quella fra lunedì e martedì, la situazione è precipitata nel nulla.

La schiarita era arrivata lunedì, con la notizia di un accordo stretto fra il partito e il movimento. Il «patto dell’aperitivo», così era stato definito dalla stampa locale, era stato stretto in un bar di Posillipo. Al tavolo, anzi al tavolino, si era riunita una rappresentanza dei grillini e i vertici del Pd napoletano. Il “cin” era scattato sul nome di Gaetano Manfredi, ex ministro dell’Università ed ex rettore dell’ateneo Federico II. Manfredi, alla fin fine, non sarebbe stato sgradito neanche al presidente della regione Vincenzo De Luca, convitato di pietra delle trattative di questi giorni, molto scettico sull’alleanza con i Cinque stelle. Ma ieri l’ex ministro ci ha ripensato. A provare a convincerlo in extremis anche il segretario del Pd Enrico Letta, che lo avrebbe chiamato da Parigi per invitarlo a non desistere.

Ma niente da fare. Sul no pesano come un macigno i conti in profondo rosso del comune, in condizione di pre-dissesto sin dal 2013 e ormai a rischio default. Da Roma si attendeva un segnale di aiuto. Non è arrivato.

Ieri pomeriggio dunque Manfredi ha reso pubblica una lettera aperta ai suoi concittadini. «Napoli è la mia forza e il mio dolore», ha scritto nella lunga e sofferta riflessione, «è sui ragazzi, su quello che avrei potuto costruire per loro, che in questi giorni ho fissato il mio pensiero. Mentre tante napoletane e napoletani, oltre che esponenti politici nazionali e locali, mi sollecitavano a valutare la disponibilità a candidarmi a sindaco, il cuore fibrillava e la testa ragionava». La testa ragionava sui numeri: la situazione che lascia il sindaco uscente Luigi de Magistris – che nel frattempo si è lanciato nella corsa per la presidenza della regione Calabria – è ai limiti dell’irrisolvibile. «Il comune presenta una situazione economica e organizzativa drammatica», ha scritto Manfredi, «le passività superano abbondantemente i cinque miliardi di euro, tra debiti e crediti inesigibili. Le partecipate sono in piena crisi e si prospettano difficoltà a erogare i servizi. La macchina amministrativa è povera di personale e competenze indispensabili. La capacità di spesa corrente è azzerata. Siamo, di fatto, in dissesto. Un dissesto che dovrà essere dichiarato o dal sindaco de Magistris entro qualche giorno o dal nuovo sindaco a fine anno. In queste condizioni della città, il sindaco diventa un commissario liquidatore». Manfredi chiede «un intervento legislativo di riequilibrio» e un «Patto per Napoli», si rivolge all’intero arco istituzionale per un intervento che deve arrivare «prima delle elezioni amministrative».

Stelle sparse

Questioni ineludibili con le quali dovrà fare i conti ogni altro potenziale candidato. Parole drammatiche, che spingono sullo sfondo un altro dissesto, tutto politico, quello dei Cinque stelle, ormai divisi fra “dimaiani” in regione, favorevoli agli accordi con il Pd – tranne una consigliera vicina a Di Battista –, e consiglieri comunali, autonomi ma anche loro in maggioranza favorevoli all’alleanza giallorossa. Manfredi metteva d’accordo tutte le anime, o quasi. Bevuto fino in fondo il calice dell’«aperitivo», Di Maio infatti aveva esultato: «Dopo mesi di incontri sul territorio, a Napoli abbiamo suggellato un ambizioso patto per le amministrative. Il Movimento e il Pd correranno insieme. Adesso avanti, scegliamo un nome valido per la città». «Siamo nelle condizioni di presentarci in maniera unitaria e questa è una grande novità politica rispetto agli ultimi dieci anni», gli aveva fatto eco il segretario metropolitano del Pd Marco Sarracino. In realtà già alle scorse amministrative i due erano riusciti a stringere accordi vincenti in qualche piccolo comune, come Pomigliano, casa del ministro degli Esteri. Per parte grillina al tavolino del bar si sono seduti i parlamentari Luigi Iovino, Alessandro Amitrano e Gilda Sportiello e due consiglieri municipali. Ma il consigliere comunale e portavoce cittadino Matteo Brambilla aveva subito messo in conto la rottura: «Vorrei sapere in nome e per conto di chi questi rappresentanti dei cittadini, con nessuna carica o delega, continuano ad andare a sedersi a questi tavoli».

Avanti un altro

La cosa è complicata anche dal lato Pd. Al matrimonio giallorosso non crede De Luca, che alla notizia dell’aperitivo galeotto aveva replicato un ironico «chi si contenta gode».

Il presidente della Campania non era un fan di Manfredi, che invece aveva la benedizione di Giuseppe Conte oltreché del Pd nazionale. Ma ormai è storia passata.

In assenza di una risposta da palazzo Chigi, ora il Pd deve puntare su un’altra candidatura autorevole. Dovrebbe toccare a Enzo Amendola, altro ex ministro, oggi sottosegretario agli Esteri. In questo caso la galassia grillina avrebbe bisogno di qualche giorno per inghiottire il rospo. L’ipotesi di Roberto Fico del resto, se mai sia stata davvero in campo, è saltata: le sue dimissioni aprirebbero un pericoloso domino a Montecitorio.

Manfredi invece aveva la bollinatura di Di Maio. E quella di Conte, che nelle scorse settimane lo ha visto e sentito. Ora l’ex premier gli esprime vicinanza e sembra non escludere un ripensamento. Il M5s, promette, si batterà per il «Patto per Napoli» e per «l’intervento legislativo di riequilibrio». Fico solidarizza con l’ex ministro e assicura che «l’alleanza prosegue il percorso avviato». L’alleanza prosegue, anche per mancanza di alternative. Ma ora tutto torna in ballo. C’è anche chi non esclude le primarie, che per il Pd però sono improponibili. Ai gazebo puntava il deputato renziano Gennaro Migliore, da tempo intenzionato a impegnarsi a Napoli. Ma i toni e soprattutto le ragioni del ritiro dell’ex rettore, quel baratro imminente che in realtà tutti conoscevano e nessuno scolpiva così nel dettaglio, hanno l’effetto immediato di aumentare la confusione e le incertezze.

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