Corteo imponente, Pd, M5s e Avs contro il massacro dei civili: «Meloni complice». E alla fine dal palco i quattro leader tutti insieme: andate a votare ai referendum
Alle cinque del pomeriggio piazza San Giovanni è strapiena, «Siamo trecentomila», è l’annuncio dal palco, gli interventi vanno avanti da due ore. Siano quanti siano, a quell’ora la gente si accalca ancora e scandisce «Palestina libera». Il corteo voluto dal centrosinistra formato «campo largo» (Pd, M5s, Avs) contro il massacro di Gaza, alla vigilia del voto referendario, era una scommessa ad alto tasso di pericolo, si temevano guai, lo si capisce dalla presenza delle forze dell’ordine: discreta ma massiccia. All’angolo di piazza Vittorio un gruppo pro-Pal contesta il corteo e lancia fumogeni rossi. Ma non se ne accorge quasi nessuno. Il giornalista Klaus Davi fa tutto il corteo con la bandiera di Israele (l’unica che c’è) e quella arcobaleno del Pride, con la stella di David. A fine giornata denuncia che in due gliele rubano. Ma la partecipazione travolge i dubbi e i dubbiosi e isola i malintenzionati: è una marea, il servizio d’ordine un po’ nervoso per la tensione non deve mai intervenire, se non per allentare la calca.
Alle due del pomeriggio, sotto lo scoppio del sole, il corteo parte a spinta dalle retrovie: piazza Vittorio ribolle, ci sono più bandiere palestinesi che di partito, che pure sono tante, i Cinque stelle hanno dato fondo ai magazzini. Impossibile resocontare i gonfaloni dei comuni, tra i sindaci ci sono quello di Napoli Gaetano Manfredi e di Roma Roberto Gualtieri. Alla partenza i politici sono stipati dietro lo striscione di testa «Gaza stop al massacro, basta complicità». Il Pd schiera i parlamentari quasi al completo, Nicola Zingaretti, Stefano Bonaccini, Marco Furfaro, Peppe Provenzano, Chiara Braga, Francesco Boccia, Matteo Orfini, Piero De Luca, Stefano Graziano, Antonio Decaro. Elly Schlein si apre la strada a fatica con Lorenzo Guerini, presidente del Copasir e fra i leader della minoranza interna, entrano insieme dietro lo striscione, sotto lo sguardo soddisfatto di Igor Taruffi, uno dei pochi che resiste in giacca. Per Avs ci sono Nicola Fratoianni, Angelo Bonelli, Betta Piccolotti, Filiberto Zaratti, Marco Grimaldi con kefia come Luciana Castellina, fondatrice del manifesto e indomabile combattente. Di M5s c’è Alessandra Majorino, Riccardo Ricciardi, Roberto Fico e gli altri sparsi. Giuseppe Conte arriva per ultimo, come una star. Si può partire. Il punto stampa diventa un parapiglia, ma pazienza, eppur bisogna andare. Il percorso è breve e dritto verso piazza San Giovanni. Che però a quell’ora è già piena.
La sinistra riparte da Gaza
Le richieste del corteo sono scolpite in una mozione dei tre partiti, già bocciata alla Camera: cessate il fuoco e liberazione degli ostaggi in mano ad Hamas, riconoscimento dello stato di Palestina, no alle espulsioni dei palestinesi da Gaza e Cisgiordania, sblocco degli aiuti umanitari, embargo della fornitura di armi a Israele e sanzioni contro il governo Netanyahu per le violazioni del diritto internazionale, sospensione dell’accordo di associazione Ue-Israele e fine dell’occupazione della Cisgiordania. Troppo poco pro-Pal per alcune associazioni pro-Pal, che sfilano a Milano. Il che chiarisce la distanza con chi chiede «Palestina dal fiume al mare», cioè nega l’esistenza di Israele. Ma ci sono palestinesi e filopalestinesi anche a Roma. «Dal fiume al mare tutti liberi», dirà poi la pacifista Luisa Morgantini dal palco.
Il genocidio, la carneficina
Negli interventi c’è chi urla la parola «genocidio», chi no. Lo fa la giornalista Rula Jebreal, e la piazza diventa incandescente, non lo fa il collega Gad Lerner, duro contro la «carneficina di Gaza» condotta «da Netanyahu a nome dei nazionalisti d’Europa», che «abusa della memoria della Shoah», e chiede rispetto per «noi ebrei italiani che scendiamo in piazza, siamo una minoranza, talvolta ci danno dei traditori, ma avvertiamo l’urgenza che avvertono gli ebrei pacifisti israeliani di difendere Israele da sé stessa». Altro passaggio coraggioso: «Chi vi parla è un sionista. Essere sionista non equivale a fascista e assassino». Qualche fischio. Va avanti: «Chi inneggia ad Hamas bestemmia la resistenza».
Usa la parola «genocidio» Walter Massa dell’Arci. La scandisce Conte: «Genocidio». Schlein parla di «pulizia etnica». Emiliano Manfredonia, presidente delle Acli, si rivolge ai politici: «La gente vi vuole insieme». «Unità, unità», grida in continuazione la piazza, insieme a «Palestina libera». Dietro il palco, in un gazebo, all’ombra, tiene banco Vincenzo De Luca, il presidente che ha portato il gonfalone della regione Campania, rivendica di aver fatto la prima manifestazione pro Gaza: «Di questi», ce l’ha con i suoi dirigenti di partito, «non c’era nessuno». Non ha dubbi: «È più che un genocidio, solo gli azzeccagarbugli, di fronte a ciò che sta succedendo, possono tagliare il pelo in quattro». Poi saluta Massimo D’Alema, che mostra ai giornalisti le foto del massacro di Gaza «che voi non mandate in onda nelle tv», ma bene che oggi la sinistra sia «uscita dal letargo», «nel corteo mi hanno detto: “Noi ci siamo sempre, ma fin qui non ci aveva chiamato nessuno”». Pierluigi Bersani, cappellino rosso «Sì ai referendum», non riesce a camminare per quanti lo fermano. Come Rosy Bindi.
Il finale è del quartetto dei leader politici. L’ordine alfabetico è l’espediente per non litigare: la chiusura tocca a Schlein, inizia per “S”. Bonelli attacca: «Vogliamo trasformare l’Italia in un presidio di umanità», «stiamo costruendo un’Italia che sta dalla parte giusta della storia», il governo Meloni è «vigliacco» perché non prende posizione netta contro l’«amico» Bibi, e, a Salvini che «gli ha stretto la mano sporca di sangue», «sei la vergogna d’Italia». Fratoianni: «Meloni, se sei per due popoli e due stati, riconosci oggi lo stato di Palestina, altrimenti è solo ipocrisia e complicità». Conte: «Questo massacro non può proseguire con i nostri soldi». Schlein: «Basta al massacro. Il mondo non può stare a guardare. Non può farlo l’Ue e non può farlo il governo codardo di Giorgia Meloni».
Paolo Fresu suona una «Bella ciao» cupa e magnifica. La piazza gli risponde ancora «unità, unità». «Ci rivedremo», promette Fratoianni. Più tardi il leader M5s spiega: «Una piazza importante, significativa. Ci fa piacere esserci ritrovati su questa battaglia, a dimostrazione che sono le battaglie che si fanno insieme a creare un’idea alternativa di paese», «Meloni la mandiamo a casa con idee forti, contrapponendo progetti seri e concreti ai suoi fallimenti. Dobbiamo smontare la sua narrazione di un paese dove tutto va bene».
Prima di lasciare il palco, il quartetto si dispone al microfono e intona: «Andate a votare». Oggi e domani c’è da vincere un’altra scommessa impossibile, quella dei referendum.
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