Manovra della discordia, cancellate le promesse di Salvini sulle pensioni

Il clima intorno alla manovra è ricco di tensioni, al di là dei sorrisi di facciata. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, non vuole accumulare ritardi: il via libera al disegno di legge è previsto nel Consiglio dei ministri di oggi. Il nervosismo degli ultimi giorni è solo il viatico di quella che sarà una finanziaria delicata. Tanto che, per evitare ulteriori irrigidimenti dei partiti, dovrebbe essere garantita la possibilità di presentare emendamenti da parte dei parlamentari di maggioranza. «Niente blindature sul punto», è l’orientamento fatto trapelare. Una manovra da 18 miliardi, ma è caos su banche e condoni Il leader della Lega, Matteo Salvini, è scontento per tanti motivi: prima di tutto dovrà rassegnarsi a tenere in piedi la legge Fornero. Il Documento programmatico di bilancio (Dpb) ha fissato una certezza: l’età pensionabile non subirà stop generalizzati come chiesto e annunciato in estate proprio dai leghisti, in testa il sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon. «In manovra ci sarà lo stop all’innalzamento dell’età per andare in pensione», aveva detto. Nonostante le rassicurazioni del governo, l’intervento sarà minimale. Legge Fornero intoccabile Nel testo, trasmesso ieri in parlamento, viene infatti confermato che «a esclusione dei lavori gravosi e usuranti» per il biennio 2027-2028 ci sarà «l’aumento graduale dei requisiti di accesso al pensionamento connessi all’adeguamento all’aspettativa di vita». Pensioni, il governo fa cassa sui diritti già maturati tagliando l’assegno dei dipendenti pubblici Una misura selettiva che dovrà trovare una precisa declinazione nel testo finale. «Si passa definitivamente da “aboliremo la legge Fornero”, slogan con cui per anni Salvini ha preso in giro gli italiani, al “fine lavoro mai”», ha ironizzato la senatrice del Movimento 5 stelle, Mariolina Castellone. Il vicepremier Salvini deve poi prendere atto che la parola flat tax viene usata solo come ipotetico sgravio sugli aumenti contrattuali. Ma è un’accezione piuttosto vaga. E se Salvini è crucciato, il segretario di Forza Italia, Antonio Tajani, non ha trascorso ore più serene. È vero che ha portato a casa l’impegno sul taglio del secondo scaglione Irpef, dal 35 al 33 cento, e la sterilizzazione per il 2026 di sugar tax e plastic tax. Ma la richiesta del contributo alle banche da parte degli alleati rischia ancora di essere una debacle politica per un partito che si professa liberale e “familiare”, visti gli interessi della famiglia Berlusconi nell’ambito finanziario, nonostante l’annuncio di un accordo in extremis, nella serata di ieri. Dal Dpb emerge peraltro che il prelievo per istituti di credito e assicurazioni non sarà una tantum, bensì strutturale per un valore di circa 11 miliardi di euro nel prossimo triennio (e 4,5 miliardi di euro per il 2026). L’intesa prevede la tassazione al 27,5 (rispetto all’attuale 40) per cento dei profitti messi a riserva: in caso di distribuzione di dividendi, invogliati dall’aliquota ribassata, lo stato dovrebbe incassare le somme. Da FI hanno specificato che il contributo sarà «volontario». Caso Trentini: da Villalobos a Tajani, quel rapporto difficile tra l’Italia e Maduro Gli azzurri avevano chiarito con un post sui profili social: «Forza Italia non voterà, né in Cdm né in parlamento, alcuna tassa sugli extraprofitti. Siamo contro ogni imposizione autoritaria che spaventi i mercati, gli investitori italiani e stranieri, creando un grave danno economico all’Italia». Tajani è stato ancora più diretto: «Quello di extraprofitto è un concetto da Unione sovietica». Le opposizioni hanno gioco facile a mettere il dito nella piaga del disaccordo. «Il governo è allo sbaraglio più totale e che la manovra al momento è senza coperture», ha incalzato il deputato di +Europa, Riccardo Magi. Il capogruppo del Pd al Senato, Francesco Boccia, ha rilanciato: «Un governo che litiga con sé stesso, senza una linea, senza una visione». Intanto dalle parti del Mef hanno attinto a piene mani dal Pnrr per predisporre le misure da inserire in legge di Bilancio: il documento programmatico riferisce che almeno 5 miliardi di euro arriveranno dalla revisione del Piano, una delle quote più sostanziose di finanziamento che supera il (complicato) contributo chiesto a banche e assicurazioni. E soprattutto il Dpb fornisce un antipasto del prossimo fronte di scontro politico: la spesa militare. Giorgetti ha usato l’escamotage di rinviare il confronto per qualche mese, adducendo come motivo il rientro dalla procedura di infrazione (portando il rapporto deficit/Pil sotto il 3 per cento) per poi attingere dal programma europeo Security Action for Europe (Safe) per un ammontare pari a circa 15 miliardi. La sfida della difesa europea guardando agli Usa (oltre Trump) L’impegno per l’acquisto di sistemi d’arma non è venuto meno: viene ribadito che «il livello della spesa per la difesa e la sicurezza nazionale così come indicato nel Dpfp» toccherà lo «0,5 per cento del Pil nel 2028». Polemica su Landini Sullo sfondo delle tensioni nella maggioranza, resta la polemica innescata dalle parole del segretario della Cgil, Maurizio Landini: «Meloni si è limitata a fare la cortigiana di Trump e non ha mosso un dito». La replica di Meloni è arrivata via social: «Ecco un’altra splendida diapositiva della sinistra, quella che per decenni ci ha fatto la morale sul rispetto delle donne, ma che poi, per criticare una donna, le dà della prostituta».